A trent'anni da Srebrenica qual è la situazione in Bosnia?

L’ombra lunga di Srebrenica si staglia ancora sulla Bosnia di oggi. L’11 luglio è stata indicata dall’Onu come giornata internazionale di commemorazione del massacro del 1995, quando le truppe serbo-bosniache del generale Ratko Mladic entrarono nella cittadina della Bosnia orientale, protetta fino a pochi giorni prima dai Caschi Blu delle Nazioni Unite, perpetrando uccisioni sistematiche dei civili musulmani. Una strage durata per un mese intero e che avrebbe causato circa 8mila morti. Quel massacro segnò la storia del Paese e delle guerre balcaniche che vi si combatterono. Tornando all’oggi, la memoria divisa sul massacro più grave dalla Seconda guerra mondiale in Europa, classificato nel 2007 dalla Corte Internazionale di Giustizia come azione genocida, mostra la fragile unità di un paese il cui assettom plasmato dagli Accordi di Dayton e fondato sulla divisione del potere tra serbi, croati e bosgnacchi è tuttora in bilico. Srebrenica, le divisioni specchio di una Bosnia spaccata Nella capitale Sarajevo nelle scorse settimane si sono susseguite commemorazioni e si è tentato di esorcizzare le divisioni che lacerarono la Bosnia nel contesto della frantumazione della ex Jugoslavia, mentre la retorica nazionalista del governo della Repubblica Serba di Bosnia soffia sul fuoco. Tutt’oggi, nota la Bbc, “i leader di Banja Luka negano ripetutamente che a Srebrenica sia avvenuto un genocidio, nonostante la condanna di Mladić da parte del tribunale internazionale dell'Aja, così come la precedente condanna del leader politico serbo-bosniaco Radovan Karadžić”. Così Milorad Dodik, presidente nazionalista della Repubblica Sprska, sfrutta politicamente la questione per alimentare un velato separatismo dallo Stato Centrale. La Repubblica dei serbi di Bosnia è una delle due entità federali che compongono il Paese assieme alla Federazione della Bosnia e dell’Erzegovina a maggioranza croata e bosgnacca, e sulla scia delle sempre più critiche divisioni interne Dodik sta lavorando per aumentare l’autonomia de facto del territorio da lui amministrato. Negli ultimi mesi, il leader della Republika Srpska ha intensificato la sua sfida allo Stato centrale della Bosnia-Erzegovina, approvando leggi che limitano l'autorità federale sul territorio serbo-bosniaco. Queste azioni gli sono costate un mandato di arresto per condotta anticostituzionale e una condanna a un anno di carcere , con il primo che è stato annullato dall’Alta Corte di Sarajevo il 4 luglio scorso. Dodik si è inoltre scontrato duramente con l’Alto Rappresentante internazionale, Christian Schmidt, che ai sensi degli Accordi di Dayton ha il potere di dirimere le controversie tra le entità federali e ha più volte annullato le leggi di Banja Luka potenzialmente in grado di alimentare correnti separatiste. Le decisioni di Schmidt sono state però contrastate dal netto rifiuto di Dodik, che ne ha negato la legittimità. L’abuso pubblico della storia Per la Bbc l’acceso nazionalismo di Dodik pescherebbe a piene mani nell’immaginario degli Anni Novanta e in particolar modo è da segnalare “la proposta di legge per istituire una quella che la Repubblica Srpska ha definito una forza di polizia di riserva”, definizione che “negli Anni Novanta fu usata per definire le milizie serbe assassine durante il conflitto in Bosnia”. In quest’ottica Dodik, che sul piano internazionale contrasta le ambizioni europeiste del governo di Sarajevo ed è vicino alle istanze di Russia e Israele, mira a usare la leva della in maniera strumentale per legittimare la sua strategia di oggi, orientata al graduale disaccoppiamento delle due Bosnie. Come ha ricordato Giorgio Fruscione su Ispi “Dodik è stato il primo politico serbo-bosniaco ad aver detto, nel 2007, che a Srebrenica c’era stato un genocidio” quando mirava a presentarsi come leader moderato, salvo poi virare su un’agenda radicalmente diversa. Col secessionismo il leader di Banja Luka, “vuole di fatto risollevare le proprie sorti politiche e ogni 11 luglio può dar sfogo al repertorio negazionista su cui ha costruito la sua carriera nazionalista”. Anche Srebrenica e il suo ricordo diventano vittime di obiettivi politici precisi e a trent’anni dal massacro le spaccature interne alla Bosnia-Erzegovina sono ancora lì per minacciare la stabilità del fragile Paese balcanico.

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