I “giochi di guerra” di Taiwan per simulare la risposta a un’invasione cinese

Ha preso il via mercoledì l’annuale esercitazione militare delle forze armate di Taiwan, la “Han Kuang” — giunta quest’anno alla sua edizione più lunga e articolata di sempre — che si protrarrà fino al 18 luglio, in una fase cruciale in cui Taipei valuta sia l’effettiva minaccia di una futura invasione cinese, sia l’eventualità di doverla affrontare senza più la certezza del sostegno statunitense. L’esercitazione ha un nome altisonante, che significa “Gloria degli Han” e richiama simbolicamente la riconquista della Cina continentale, formalmente ancora rivendicata come territorio sotto sovranità della Repubblica di Cina — nome ufficiale dello Stato comunemente noto con il nome dell’isola a cui oggi coincide il suo territorio effettivo. Più prosaicamente, però, la “Han Kuang” è un’esercitazione di natura squisitamente difensiva, pensata per testare le capacità operative delle forze armate taiwanesi in caso d’invasione, ma anche per mostrare l’efficienza e la prontezza militare di quella che Pechino considera una “Provincia ribelle”. Dal 1984 a oggi, migliaia di truppe si muovono via terra, mentre buona parte dell’aeronautica e della marina di Taiwan è mobilitata per manovre sempre più complesse, che negli ultimi anni sono precedute da simulazioni strategiche computerizzate condotte dallo Stato Maggiore ad aprile, secondo lo schema dei cosiddetti “giochi di guerra”. Quest’anno, come nota la BBC, “le esercitazioni saranno improvvisate per testare la reattività delle truppe a un attacco a sorpresa — una mossa elogiata dagli analisti militari e attesa da tempo”: una modifica significativa rispetto al canovaccio tradizionale di Han Kuang, introdotta “in risposta alle critiche mosse nel corso degli anni, secondo cui le precedenti edizioni somigliavano più a operazioni di pubbliche relazioni che a vere esercitazioni militari”. Un’esercitazione ambiziosa e dai grandi numeri Le forze armate taiwanesi mobiliteranno 22mila militari e, come sottolinea il Taipei Times, dedicheranno particolare attenzione alla risposta ad “attacchi informatici e campagne di disinformazione”, oltre che alla “verifica della capacità dell’esercito taiwanese di decentralizzare il comando in caso di un attacco paralizzante alle comunicazioni” — uno scenario che tutti gli analisti considerano un preludio scontato a qualsiasi iniziativa ostile da parte di Pechino. Come anticipato da Focus Taiwan, nell’ambito di un progressivo ampliamento delle simulazioni, l’esercitazione prevede il dispiegamento mirato di unità strategiche su tutto il territorio nazionale e nei suoi approcci marittimi. In particolare, la marina taiwanese schiererà alcune delle sue navi da guerra in specifiche aree al largo della costa, indicate come potenziali punti di scontro, con l’obiettivo di intercettare e neutralizzare in anticipo eventuali forze ostili. Parallelamente, saranno posizionati radar avanzati e batterie missilistiche antinave su piattaforme mobili, per coprire le zone ritenute cruciali per la difesa e garantire una risposta rapida e flessibile. Un altro elemento chiave della strategia difensiva che sarà testata riguarda le cosiddette “spiagge rosse”, ovvero quei tratti di costa che l’intelligence ritiene più vulnerabili a sbarchi anfibi su larga scala. In queste zone, i genieri dell’esercito si eserciteranno nella costruzione rapida di barriere anticarro, ostacoli alla mobilità e altri dispositivi di interdizione, progettati per rallentare l’avanzata delle forze nemiche sbarcate e guadagnare tempo per il contrattacco delle truppe regolari. Armi americane per blindarsi e blandire Trump Si tratta di un programma ambizioso, con un obiettivo chiaro. Il presidente William Lai, leader del Partito Democratico Progressista e fautore dell’indipendenza di Taiwan, a meno di un anno dalla sua elezione, vuole sfruttare Han Kuang non solo come risposta alle continue incursioni di caccia e navi cinesi nei pressi delle acque territoriali e dello spazio aereo dell’isola, ma anche per convincere Donald Trump e la sua amministrazione dell’utilità strategica dell’alleato taiwanese e del suo apparato militare. Non a caso, nell’arsenale che sarà messo in mostra durante l’esercitazione, debutteranno i sistemi missilistici Himars per attacchi a medio raggio — ritenuti fondamentali per colpire le forze da sbarco cinesi prima che mettano piede a terra. Inoltre, Taipei sta acquistando caccia F-16 e obici d’artiglieria M109 dagli Stati Uniti, anche per rispondere alle critiche che, un anno fa in campagna elettorale, Trump aveva rivolto all’isola, sostenendo che Taiwan “dovrebbe pagare per la propria difesa”. In quest’ottica, l’acquisto di armi americane serve a Taiwan anche per controbilanciare il rischio di nuovi dazi statunitensi, che potrebbero ulteriormente acuire le tensioni nel Pacifico. Washington considera Pechino una minaccia strategica, e Taipei punta a rafforzare la sua “strategia del porcospino”: rendersi difficile da conquistare, per bilanciare l’inevitabile inferiorità numerica e militare rispetto alla Cina. La capacità di Taiwan di giocare un ruolo credibile in un sistema internazionale di alleanze dipende direttamente dalla sua capacità di resistere a un eventuale attacco. E l’obiettivo, quest’anno, è dimostrare questi progressi non solo alla storica rivale continentale, ma anche — se non soprattutto — all’ondivago partner d’oltreoceano.

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