Perché l'Iran riesce a perforare la difesa aerea israeliana

Dall’attacco di Israele all’Iran di venerdì scorso la guerra tra Tel Aviv e Teheran è stata contraddistinta non solo dai raid aerei delle forze aeree dello Stato Ebraico sul territorio della Repubblica Islamica, ma anche dalla reazione di quest’ultima, che ha preso la forma di continui attacchi missilistici contro il territorio nemico. Dal 13 giugno almeno 24 persone sono state uccise, 800 ferite e 3.800 lasciate senza casa dai continui attacchi missilistici che si sono concentrati principalmente sulla capitale Tel Aviv e sul porto di Haifa, le cui strutture sono state duramente bersagliate. Teheran sta dando fondo al suo ampio arsenale missilistico, che conta almeno 2mila pezzi, per colpire e mettere sotto pressione Israele e alzare il prezzo pagato dallo Stato Ebraico per la conduzione della guerra. Più volte, i missili iraniani sono stati in grado di forare la complessa architettura della difesa antiaerea israeliana. Le forze armate di Teheran, e in particolare i Guardiani della Rivoluzione che controllano il programma missilistico, essenzialmente mirano a consentire al maggior numero possibile di missili di passare lo sbarramento israeliano cercando di saturare i tre livelli della difesa di Tel Aviv: Arrow ha il compito di intercettare i missili a lungo raggio ad alta quota, la Fionda di Davide ha il compito di intercettarli a altitudini più basse, mentre i frammenti o i vettori a bassa quota sono invece affrontati dal terzo, e più noto, livello di difesa, l’Iron Dome. Come l’Iran sfida l’antiaerea La strategia iraniana mira a saturare le difese israeliane rendendo impossibile l’intercettazione totale dei missili lanciati contro lo Stato Ebraico. Per questo, molto spesso, Teheran fa anticipare da lanci di droni l’uso dei missili, per far sì che i sistemi automatizzati che governano i dispositivi antiaerei spingano gli operatori a sprecare munizioni su armamenti di minor valore. A questi attacchi fanno seguito gli ampi sbarramenti di missili lanciati dalla Repubblica Islamica contro Israele, che stanno dando filo da torcere all’attività degli intercettori di Tel Aviv. Le forze armate israeliane rivendicano tassi di abbattimento del 90% sostenendo, riporta il New York Times, che “l'Iran ha lanciato circa 400 missili, quasi 40 dei quali hanno eluso il sistema di difesa aerea israeliano e colpito quartieri delle città, mentre i rimanenti 360 sono stati colpiti da intercettori o monitorati fino a quando non sono caduti su terraferma o in mare”. In questo calcolo, in ogni caso, va contata anche la quota di missili bloccata dalle forze armate statunitensi con i cacciatorpediniere stanziati nel Mediterraneo Orientale o i sistemi Thaad e Patriot forniti dagli Usa a Israele e, nota il New York Times, “i missili iraniani potrebbero essere stati colpiti più di una volta e il numero totale di intercettori utilizzati non è chiaro”. Il Wall Street Journal ha avvertito, citando fonti di Tel Aviv, del fatto che Israele potrebbe restare a corto di missili Arrow 2 e Arrow 3, fondamentali per l’intercettazione ad alta quota mentre per il Jerusalem Post è anche da valutare “la sostenibilità delle scorte statunitensi” nelle settimane a venire. Il fattore-costo non è da sottovalutare: ogni singolo colpo di Iron Dome costa 100-150mila dollari, per la Fionda di Davide questa somma ammonta a 700mila dollari e per Arrow può arrivare tra 2,5 e 3 milioni. I costi del sistema di difesa The Marker, la maggior testata finanziaria israeliana, ha stimato in 285 milioni di dollari la spesa sostenuta mediamente ogni giorno da Tel Aviv per affrontare l’assalto balistico israeliano, una voce importante nel quadro di un conflitto che per Re'em Aminach, ex direttore del bilancio del ministero della Difesa israeliano, costa quotidianamente alle casse dello Stato Ebraico oltre 725 milioni di dollari. Il duello a distanza tra i missili e l’antiaerea sarà tra i fattori strategici più critici da tenere in considerazione nella guerra: bisognerà capire se l’Iran riuscirà a reagire alla pressione militare israeliana sul suo territorio esercitando un’azione costante di superamento, almeno parziale, delle difese aeree israeliane, costringendo il governo di Benjamin Netanyahu a concentrarsi sul fronte interno oltre che sulla proiezione offensiva. Israele punta a risolvere il problema alla radice Al contrario, Tel Aviv mira a disinnescare la minaccia colpendo i siti di lancio direttamente sul suolo iraniano. Israele spera che presto l’Iran resti a corto di missili dopo l’esaurimento delle scorte e l’eliminazione di parte delle riserve da parte dell’Israeli Air Force. Per Teheran, infatti, il principale fattore critico è legato alla difficile sostituibilità di ogni vettore lanciato: “prima dell'attuale campagna, gli Stati Uniti stimavano la capacità di produzione di missili balistici dell'Iran a circa 50 missili al mese, un tasso di produzione significativo ma insufficiente a sostenere l'attuale cadenza di fuoco dell'Iran”, nota l’International Institute for Strategic Studies, facendo notare che “Israele sta espandendo le sue operazioni per includere attacchi diretti contro l'infrastruttura di produzione missilistica iraniana”. L’urgenza con cui Israele lancia operazioni di questo tipo mostra quanto la continua pressione sull’architettura di difesa aerea rappresenti un fattore indubbiamente critico sul piano militare e, soprattutto, sul fronte della legittimazione di un conflitto presentato da Netanyahu come destinato a portare maggior sicurezza rimuovendo la minaccia iraniana ma da cui ad oggi Israele non manca di ricevere duri colpi.

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