Noi e i coniugi Macron: quando scatta “la Fantacrisi”

Ci è voluta una terribile cervicale e un relativo piccolo collasso notturno, perché mi sono alzata alle due dal dolore ma mi sono ritrovata stesa a terra, per capire che era arrivato il momento di fermarmi. Nelle ultime settimane avevo esagerato: troppo lavoro, troppe recite e ricerche e interrogazioni e feste bambine che in questi beati anni pretendono la partecipazione attiva dei genitori, e se i genitori sono single la pretendono doppia, troppi treni, troppo lavoro, l’ho già detto: lo ripeto anche una terza volta, troppo lavoro, troppi sì, fondamentalmente troppi sì, e come a molti di noi, soprattutto a un passo dall’estate, succede, è stato il mio corpo a dirlo al posto mio: no. Basta. Quale sia stata la famigerata goccia, non saprei dirlo. Andare in giornata ad Aosta per un convegno e poi correre a tenere una lezione alla mia Scuola di Scritture Creative? Forse. Una discussione sulla chat della classe di mia figlia fra chi difendeva la succitata recita e chi era piuttosto perplesso dall’avere visto dei bambini di sette anni scimmiottare i tic di un certo tipo di adulto rimbambito dal telefono e dall’ansia di guadagnare, e fare satira a partire da realtà che per fortuna non sono in grado di comprendere- e a cui personalmente vorrei assistessero il più tardi possibile? Può essere. Quella persona rapace che non sa tenere le distanze e mi riversa addosso, prima di riuscire a elaborarlo da sola, il suo malessere, quell’altra? Chissà. Non c’è mai un unico motivo per cui un individuo inciampa e cade. E anche la somma aggrovigliata dei motivi per cui lo fa, nonostante l’analisi e le telefonate con gli amici e i più raffinati tentativi di autoascolto, è destinata, fondamentalmente, a rimanere un mistero. Figuriamoci se allora un piccolo collasso capita a una coppia, cioè a due individui, ognuno con il suo troppo lavoro, con le sue troppe recite, con i suoi troppi sì. E con tutto quello che, mentre da anni apparentemente li lega, da qualche parte buia allo stesso tempo li slega, mentre apparentemente li slega, in realtà, nel profondo, li lega. Proprio per questo, ogni volta che sotto ai riflettori finisce una coppia che si lascia o che, come nel caso dei coniugi Macron sulle scale dell’aereo atterrato in Vietnam, ha per l’appunto un piccolo collasso, mi ritrovo estremamente irritata dalle interpretazioni, dalle teorie, dalle arene che fioriscono attorno a quella crisi, a quella scivolata. In tedesco si chiama Schadenfreude, ma non ha un’immediata traduzione in italiano, quel piacere sottile che le sfortune altrui, anche malgrado la nostra volontà razionale, ci provocano: e la Fantacrisi che esplode ogni volta che un matrimonio solido vacilla o mostra segni di incertezza ne è evidentemente un segno. Come se chi ride o si interroga sui Macron potesse almeno per un istante distrarsi, e dunque trarre sollievo, dal suo di matrimonio. Come se non succedesse a tutte le componenti più impulsive di una coppia di abbandonarsi a un gesto scomposto, andando dalla parte del torto perfino quando hanno ragione, e a tutte le componenti meno impulsive di minimizzare. Come se il matrimonio di tutti non fosse come quello che racconta Miranda July nel suo irresistibile ultimo romanzo, A quattro zampe e ogni tanto non facesse salire il sospetto, dentro a ognuno di noi, di non conoscere chi abbiamo davanti, di non averlo mai davvero conosciuto. Come se bastasse un momento, fra un uomo e una donna che vivono insieme da vent’anni, per fare capire a qualcuno che guarda di quello che li ha legati, che li sta slegando. Che li ha slegati, che li sta legando.

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