Trump, il viaggio nel Golfo tra business e crisi regionali

Il presidente statunitense Donald Trump è atterrato stamattina in Arabia Saudita, inaugurando un viaggio di quattro giorni nella regione del Golfo Persico che lo porterà a toccare anche Qatar ed Emirati Arabi Uniti nella prima importante missione all'estero del suo secondo mandato. Trump, che dal 20 gennaio ha lasciato gli Usa solo per recarsi ai funerali di Papa Francesco a Roma il 26 aprile, parteciperà oggi e domani al summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo e incontrerà i leader dei tre Paesi: il principe ereditario e primo ministro saudita Mohammad bin Salman, il presidente emiratino Mohammad bin Zayed, l’Emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani. Al centro degli incontri, la volontà americana di puntare sui Paesi della regione come partner strategici in ambito economico-commerciale e un contesto complesso sul piano geopolitico del Medio Oriente. Attenzione alle convergenze Sarà un viaggio in cui Trump cercherà di esaltare i punti di convergenza e non dar eccessivo peso alle diversità di vedute tra Washington e i suoi alleati nella regione. Queste ultime riguardano, in particolar modo, l’approccio verso Israele e la guerra di Gaza, su cui peraltro anche gli Usa appaiono meno caldi rispetto al recente passato, la spinta al rafforzamento degli Accordi di Abramo tra Tel Aviv e i Paesi arabi, congelato a causa del conflitto nella Striscia dal 2023 proprio mentre si parlava di distensione con i sauditi, e la partita petrolifera, che ha visto i Paesi del Golfo in seno all’Opec alzare la produzione con grave danno dei produttori di shale oil americani per il calo dei prezzi. Trump, ha scritto Gregory Gause, Visiting Scholar del Middle East Institute, punta sul fatto che “gli stati del Golfo sostengono il suo impegno diplomatico nei confronti dell'Iran, temendo che uno scontro iraniano-americano possa riversarsi su di loro e danneggiare gli affari”, mentre “sul fronte economico, Arabia Saudita, Emirati e Qatar vedono un'opportunità in questo viaggio. Ci saranno annunci di investimenti e accordi commerciali ampiamente pubblicizzati”. Corsa agli investimenti Per i Paesi della regione, l’annuncio di grandi progetti economici sembra essere il focus principale della visita del presidente americano e lo strumento migliore per conquistarsi i suoi favori. Nei mesi scorsi il principe Mohammad bin Salman ha promesso che Riad arriverà a investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti nel corso del quadriennio di amministrazione di Trump, anche se la prospettiva di una crisi di liquidità dell’Arabia Saudita per un calo dei prezzi del petrolio rende molto difficile ipotizzare la concretizzazione di questi piani. Abu Dhabi ha promesso 1.400 miliardi, una cifra più che doppia, su 10 anni, mentre per non essere da meno il Qatar ha voluto strizzare l’occhio a Trump in forma diversa: l’amministrazione, scrive il New York Times, “è pronta ad accettare un lussuoso Boeing 747-8 come donazione dalla famiglia reale del Qatar, e Trump ha chiesto che sia riadattato per essere utilizzato come Air Force One, in attesa che Boeing consegni gli aerei presidenziali attesi da tempo”. Affari di Stato e di famiglia Si tratterebbe non solo del più importante dono straniero a un presidente mai ottenuto da un leader americano, ma anche di un bene che potenzialmente Trump potrebbe usare dopo la fine del mandato, fatto che ha suscitato un acceso dibattito circa la liceità di un dono di questo tipo: il Boeing 747 offerto dal Qatar è valutato infatti 400 milioni di dollari. Il New York Times non manca di sottolineare altri rischi di conflitti d’interesse per l’inquilino della Casa Bianca, notando che le mete di Trump “coincidono perfettamente con gli interessi finanziari della sua famiglia”, la cui organizzazione ha “sei accordi pendenti con una società immobiliare a maggioranza saudita, un accordo sulle criptovalute con una società affiliata al governo degli Emirati Arabi Uniti e un nuovo progetto di golf e ville di lusso sostenuto dal governo del Qatar”. Il comandante in capo Usa avrà al seguito nel viaggio Ceo e top manager di molti grandi gruppi, da BlackRock a Ibm passando per Palantir, Citigroup e Qualcomm per parlare di progetti nella difesa, nelle infrastrutture, nell’energia e nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, ma c’è l’idea che anche la sua struttura imprenditoriale possa nei fatti beneficiare dall’attivismo politico dell’amministrazione. Israele spiazzata? La leva degli affari è usata dai Paesi del Golfo come strumento politico: Doha, Abu Dhabi e Riad sanno che Trump è sensibile alla ricerca di accordi e partnership politiche, ansioso di portare a casa risultati concreti sotto forma di trattati commerciali e promesse di investimento, attento al conto economico più che alla diplomazia ordinaria. Dunque, si è scritto su Ispi, tramite questi strumenti ,“forti del peso finanziario, del controllo sul mercato energetico e del ruolo strategico nella regione, i Paesi del Golfo puntano a orientare le scelte della Casa Bianca nella regione”. Chi potrebbe essere spiazzato, in quest’ottica, è Israele, verso la cui politica estera in Medio Oriente i Paesi del Golfo iniziano a essere sempre più critici. Trump ha mostrato una crescente disaffezione verso Benjamin Netanyahu nelle ultime settimane. Gli Usa, ha sottolineato Ugo Tramballi, Senior Advisor di ISPI, “trattano con l’Iran quando Netanyahu voleva bombardare; l’israeliano allarga la guerra a Gaza mentre gli americani trattano con Hamas una tregua e la liberazione di un ostaggio. Ora Trump parte per il Golfo e l’agenda prevede 100 miliardi di dollari di armi americane ai sauditi e 1000 di investimenti arabi in America ” mentre Tel Aviv non è stata considerata come meta del viaggio. Un cambio di prospettiva notevole, rispetto al primo viaggio fatto da Trump nel 2017, che dopo la visita in Arabia Saudita lo portò proprio nello Stato ebraico, su cui faranno leva i partner mediorientali di Washington, consci che oggi Trump ha bisogno di loro e pronti a incassare i dividendi politici di questo cambio di paradigma.

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