"Carri di Gedeone", cosa prevede il piano di Netanyahu per Gaza

Occupare un’area sempre più vasta della Striscia di Gaza, per un periodo potenzialmente indefinito di tempo, sgomberando forzosamente la popolazione residente: il piano ‘Carri di Gedeone’ approvato dal gabinetto di guerra israeliano di Benjamin Netanyahu nella giornata di ieri segna un cambio nella strategia di Tel Aviv nel conflitto contro Hamas, ma pone anche grandi interrogativi per la sicurezza della popolazione civile e della stabilità del Medio Oriente. In parallelo all’annuncio della strategia, il capo dell'esercito, il tenente generale Eyal Zamir, ha annunciato il richiamo di decine di migliaia di riservisti per mettere Tel Aviv nelle condizioni di applicare pienamente il nuovo disegno operativo. Il nuovo piano per Gaza Il piano prevede infatti un’espansione graduale delle operazioni militari contro Hamas e il parallelo sfollamento di centinaia di migliaia di gazawi verso il Sud della Striscia. Israele ritiene che mantenendo una corposa presenza militare a Gaza, controllando non solo i corridoi che connettono la Striscia al resto del mondo ma anche vaste aree della parte meridionale e mediterranea della Palestina, esercitando al contempo una pressione costante su Hamas, potrà rafforzare la sicurezza dello Stato Ebraico sul lungo periodo. La strategia però ha sollevato le critiche e l’opposizione di una parte dell’opinione pubblica e dei familiari degli ostaggi tuttora detenuti a Gaza che denunciano la decisione del governo di “sacrificarli” pur occupare la Striscia e proseguire il conflitto. Zone cuscinetto e aree d'occupazione Dopo aver rotto il cessate il fuoco siglato a gennaio con la mediazione del Qatar, Io Stato Ebraico ha ricominciato a bombardare Gaza, le truppe dell’esercito israeliano hanno consolidato la loro presa su gran parte del nord e del sud della Striscia e sono state istituite quelle che Tel Aviv chiama "zone cuscinetto". Queste ultime sono aree profonde diversi chilometri lungo il perimetro della zona occupata formalmente pensate per fungere da deterrente contro qualsiasi penetrazione di Hamas. “In totale, oltre il 70% di Gaza è sotto il controllo israeliano o è soggetto ad ordini emessi da Israele che impongono ai civili palestinesi di evacuare determinati quartieri”, nota il Guardian. Nella Striscia accade, su larga scala, ciò che Israele applica in altri teatri, come quello della Siria meridionale o del Libano del Sud, dove dallo scoppio della crisi regionale del Medio Oriente Tel Aviv ha costruito analoghe zone-cuscinetto, nei fatti occupazioni di territori non legittimate dal diritto internazionale, per mettere in sicurezza le posizioni delle proprie forze armate. Gli ostaggi in secondo piano Il portavoce dell’Idf, il generale di brigata Effie Defrin, ha dichiarato lunedì sera che l'obiettivo della "nuova e intensificata fase" è garantire al contempo “il ritorno dei nostri ostaggi e la sconfitta del regime di Hamas”, confermando quanto evidenziato da Netanyahu. Ma secondo diversi osservatori gli ostaggi non rientrano ormai tra le priorità dell’esecutivo: Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze e falco nazionalista del governo, ha dichiarato che Israele non rinuncerà ai territori occupati neanche in cambio della loro liberazione. Il piano israeliano è stato visto da buona parte della Comunità internazionale come lesivo delle prospettive di pace in Palestina. Francia e Cina hanno inviato una protesta formale a Israele e anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato che può causare “migliaia di morti innocenti” e una catastrofe umanitaria. Sommandosi al continuo blocco degli aiuti umanitari, l’annuncio dell’escalation ha già causato di fatto il tramonto definitivo di qualsiasi prospettiva negoziale. Il Times of Israel ha riportato che “il Qatar, che ha contribuito a mediare i precedenti cessate il fuoco temporanei durante la guerra, ha dichiarato martedì che sono in corso colloqui per una nuova tregua”. Ma ad oggi la mossa israeliana sembra aver fatto irrigidire ulteriormente la posizione negoziale di Hamas “Non ha senso avviare colloqui o prendere in considerazione nuove proposte di cessate il fuoco finché nella Striscia di Gaza continuano la guerra della fame e la guerra di sterminio condotta da Israele", ha dichiarato l'ex ministro della Salute di Gaza Basem Naim, funzionario di Hamas. La sensazione è che la rottura del cessate il fuoco di gennaio abbia guastato in maniera pressoché irreparabile ogni prospettiva di pacificazione e che nei prossimi mesi la parola sarà affidata alle armi.

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