Israele e il sostegno ai drusi: il piano di Tel Aviv nel nuovo mosaico siriano post Assad

Israele torna a bombardare la Siria e lo fa mandando un messaggio diretto al presidente Ahmad al-Sharaa, noto anche con il nome di guerra Abu Mohammad al-Jolani. Nella notte tra giovedì e venerdì i caccia F-16 e F-35 dell’Israel Air Force hanno effettuato diverse incursioni sulla capitale siriana Damasco, colpendo obiettivi in prossimità del palazzo presidenziale in cui risiede ufficialmente il capo dello Stato del Paese levantino. Secondo Tel Aviv l’azione ha colpito una serie di unità militari che avrebbero dovuto contribuire alla repressione contro i drusi, venuti in conflitto nelle ultime settimane con le forze di al-Sharaa. L’obiettivo dichiarato del governo di Benjamin Netanyahu è imporre lo stop agli scontri interconfessionali che stanno vedendo le milizie sunnite legate al governo di Damasco confrontarsi con le forze druse nelle aree a Sud della capitale. Nel sobborgo di Jaramana, a Damasco, nella provincia meridionale di Sweida e nelle aree rurali circostanti le comunità druse, che nelle scorse settimane avevano cercato un accordo con il governo di al-Sharaa, hanno denunciato attacchi da parte di gruppi di uomini armati nell’ultima settimana. Le violenze nelle aree druse insanguinano la Siria Si ritiene che i responsabili di questi scontri, che hanno causato oltre 70 morti, siano miliziani legati a movimenti sunniti radicali contigui a Hayat Tahrir al-Sham, l’organizzazione guidata da al-Sharaa che ha condotto i ribelli siriani a rovesciare Bashar al-Assad tra novembre e dicembre 2024. Il Guardian ricorda che “gli scontri sono scoppiati martedì dopo che sui social media è circolato un filmato audio in cui un uomo pronunciava commenti denigratori sul profeta Maometto”, aggiungendo che “il filmato è stato attribuito a un religioso druso, scatenando l'ira di molti musulmani sunniti, ma potrebbe essere stato inventato” dato che non ci sono prove che ne certifichino definitivamente l’origine. In poche ore, però, gli scontri hanno preso una piega drammatica. In risposta a questi massacri, nella giornata dell'1 maggio, il leader spirituale druso siriano, lo sceicco Hikmat Al-Hijri, ha criticato con veemenza il governo siriano per quello che ha definito un "ingiustificato attacco genocida" contro la minoranza. Al-Hijri ha aggiunto di non fidarsi più “di un governo che uccide il suo stesso popolo” e ha invitato “le forze internazionali a intervenire immediatamente”. Va sottolineato che Al-Hijri è intervenuto dopo che all’interno delle comunità druse l’atteggiamento da tenere verso il governo in relazione agli scontri era stato molto discusso. Vari comandanti drusi hanno invitato alla resistenza, ma nelle ore precedenti il proclama del leader spirituale “diversi importanti sceicchi drusi hanno incontrato i governatori delle province di Suwayda, Daraa e Quneitra e hanno concordato un cessate il fuoco a Jaramana e Ashrafiyeh Sahnaya”, fa notare l’Institute for the Studies of War. Ciononostante, le prese di posizione del leader spirituale sono state colte al balzo da Israele per intervenire. Prontamente, Netanyahu e il ministro della Difesa Israel Katz hanno ordinato alle forze armate israeliane di colpire Damasco. Netanyahu ha ammonito che "non permetterà che i drusi [siriani] vengano danneggiati", ribadendo l’impegno di Tel Aviv a favore di una comunità che nello Stato Ebraico è l’unica tra le minoranze a cui è concesso di servire nelle forze armate. Per Israele il sostegno alle comunità druse ha sia un valore politico interno che una prospettiva geopolitica. Sul fronte interno, Netanyahu mira a mostrare l’appoggio ai drusi come prova del pluralismo del suo governo e rispondere alle accuse di chi attacca Tel Aviv per le politiche contro i palestinesi a Gaza e in Cisgiordania, sottolineando che chiunque sia disposto a sostenere la sicurezza dello Stato Ebraico è destinato a ricevere la protezione e la tutela di Israele. La leva dei drusi per la strategia di Netanyahu Sul piano strategico, però, la questione è più complessa. I drusi sono concentrati nella Siria meridionale, nelle regioni non lontane dalla zona di occupazione israeliana nel Paese, estesa a dicembre di alcuni chilometri dall’originaria base nelle alture del Golan. Per Tel Aviv una Siria meridionale presidiata dalle forze delle comunità druse e in cui sia interdetta la presenza agli uomini di al-Sharaa/al-Jolani garantirebbe maggior sicurezza e stabilità ai confini de facto creati dalle truppe dello Stato Ebraico. Inoltre, Netanyahu e il suo governo hanno interesse a una Siria debole militarmente e divisa, e dopo che al-Sharaa ha firmato un cruciale accordo con l’Amministrazione autonoma curda per la sua integrazione nello Stato post-Assad questa ipotesi appariva ben più a portata di mano. Lo scoppio degli scontri è stato sfruttato da Israele per rendere più difficile al nuovo governo il conseguimento dell’obiettivo. Infine, ultimo ma non meno importante elemento, colpire le forze di al-Sharaa e bombardare Damasco significa mandare un messaggio alla Turchia, patrona della nuova Siria, per delimitare manu militari le zone d’influenza nel Paese. Questi obiettivi geopolitici sono puntati da Netanyahu usando la leva del sostegno ai drusi, comunità che però al suo interno ha una complessità politica e sociale che rende difficile trattarla come un monolite. Quel che è certo è che a sei mesi dalla caduta di Assad, la Siria è tutto fuorché pacificata. E al caos interno contribuiscono sia le violenze interconfessionali sia le ingerenze, tutt’altro che disinteressate, di attori esterni e che mirano a ottenere vantaggi politici nel complicato mosaico del Paese levantino. Tra questi attori, ad oggi, è Israele una delle potenze regionali maggiormente coinvolte, senza far nulla per nasconderlo.

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