Il mondo islamico saluta Francesco

"Un uomo di pace, promotore dei principi di convivenza e comprensione". Il coro è unanime: dall’Egitto agli Emirati, dalla Giordania all’Iran fino all’Autorità palestinese, tutto il Medio Oriente islamico si è unito nel ricordare con affetto e ammirazione la figura di Papa Francesco, sottolineando la sua determinazione nella ricerca del dialogo interreligioso e la sua opposizione a tutti conflitti che insanguinano l’area, a partire da Gaza, ma guardando a tutti i focolai di tensione, dalla Siria al Libano. Un dialogo secolare La ricerca di un dialogo tra le “religioni del Libro”, come vengono chiamate nel mondo arabo l’islam, il cristianesimo e l’ebraismo, non è certo una novità, con aperture e chiusure, fraintendimenti e ostilità. E però, tra gli ultimi pontefici, certamente Bergoglio è colui che ha compiuto i gesti più significativi, che hanno colpito l’opinione pubblica musulmana. Nomen omen Non è forse un caso che il Papa abbia scelto come nome Francesco, ricordando certamente il pellegrinaggio che il santo di Assisi compì nel 1219 per recarsi a Gerusalemme, dove incontrò il Sultano al Malik al Kamil, nipote di Saladino, e con cui avviò il primo dialogo interreligioso della storia. È grazie a questo viaggio che fin dall’epoca i monaci francescani sono i custodi dei luoghi sacri. Le aperture di Giovanni Paolo II Senza però andare così a fondo nelle pieghe della Storia, anche Karol Wojtyla compì passi significativi, che probabilmente hanno reso possibili i successivi di Bergoglio. A partire dalla Turchia, nel 1979, passando per l’Egitto, nel 2000, e la Siria, dove rese omaggio alla tomba di Giovanni Battista, nel 2001, nella Moschea degli Omayyadi. Il passo falso di Ratisbona Un dialogo, quello tra Islam e Cristianesimo, che ha visto anche momenti complicati, come il controverso discorso di Ratisbona, di Benedetto XVI – Joseph Ratzinger, nel 2006, quando il teologo tedesco citò un passaggio in cui l’imperatore bizantino Emanuele il Paleologo condannava il jihad e il Profeta Maometto. I successivi viaggi pastorali di Benedetto XVI in Turchia e Terra Santa attenuarono le tensioni, ma mai del tutto. I viaggi di Francesco: Terrasanta e Turchia Bergoglio, però, è certamente – tra gli ultimi vescovi di Roma – a conquistare le maggiori simpatie da parte del mondo islamico. L’anno è il 2014, quando compie i primi passi decisi in questa direzione. Prima con un viaggio in Giordania, Israele e Palestina. Palestina di cui – ricordiamo – fa sventolare la bandiera in Vaticano, riconoscendole lo status di nazione. Significativo soprattutto che abbia visitato la moschea di al-Aqsa, sulla Spianata delle moschee, uno dei luoghi più incandescenti per le tensioni interreligiose al mondo. Dopo di che, la sua preghiera con un rabbino e un imam, e la condanna della religione come giustificazione della violenza. Poco dopo, a conferma della sua apertura al dialogo, la tappa a Istanbul, nella Moschea blu, la moschea costruita di fronte all’ex basilica di Santa Sofia – Aja Sofia, come simbolo della grandeur ottomana. Ed è lì che si unisce in una preghiera silenziosa con il Gran Muftì. I viaggi di Francesco: L'Egitto e gli Emirati Da un punto di vista “politico”, però, il viaggio che ha segnato una vera svolta è nel 2017, quando si è recato in uno dei centri più importanti dell’Islam sunnita, l’Università al Azhar del Cairo, dove ha incontrato il Grande Imam Ahmad al-Tayyib. Temi del confronto, la fratellanza e la condanna dell’estremismo religioso. Un dialogo tra i massimi esponenti delle due religioni che ha sicuramente spianato la strada al primo viaggio di un Papa nella penisola arabica. È ad Abu Dhabi infatti, nel 2019, che Francesco segna un passo decisivo: la celebrazione di una messa alla presenza di oltre 100.000 partecipanti in uno stadio, la sigla del “documento sulla Fratellanza Umana” e l’avvio del progetto della “casa Abrahama”, un luogo in cui saranno costruite una chiesa una sinagoga e una moschea. I viaggi di Francesco: L'Iraq e Bahrain Sempre più inorridito dalla guerra in Medio Oriente, Francesco compie nel 2021 il suo viaggio più rischioso in Iraq, e qui fa tappa a Baghdad e Najaf, dove si incontra con uno dei più rispettati leader dell’Islam sciita, l’ayatollah Ali al Sistani. Poi si reca a Ur dei Caldei, dove traggono origine le religioni monoteiste. A preoccupare Francesco è anche la sorte delle comunità cristiane orientali, sempre più sotto pressione e perseguitate, per cui i suoi viaggi pastorali assumono il senso della costruzione del dialogo con l’islam anche a livello di piccoli gruppi e di vicinanza alle loro sofferenze. I passi verso il dialogo con l’islam non possono però limitarsi solo al mondo sunnita, certo prevalente, e quindi Bergoglio nel 2022 fa tappa nel Regno del Bahrain, arcipelago del Golfo Persico a maggioranza sciita. La questione palestinese Tra i leader arabi che hanno manifestato maggiore cordoglio per la scomparsa del Pontefice c’è sicuramente il presidente dell’ANP, Abu Mazen, che ha speso parole accorate: “oggi abbiamo perso un grande amico della causa palestinese”, ha detto. Sulla questione, la posizione di Francesco è sempre stata netta: la necessità del riconoscimento dello Stato palestinese in primis ma, soprattutto, lo stop alle violenze contro la popolazione civile. La sanguinosa guerra di Gaza all’indomani del massacro del gruppo armato palestinese Hamas del 7 ottobre è stata un punto di svolta, e non c’è stata occasione in cui Bergoglio non abbia chiesto di interrompere le operazioni militari, fino, appunto, alle sue ultime parole di condanna inequivocabile. La sua vicinanza alla causa palestinese ha permesso un avvicinamento – cauto – anche da parte di Teheran, e il presidente Masud Pezeshkian ne ha ricordato l’impegno, così come – forse in modo meno sorprendente – anche Hamas ha ricordato Francesco. La freddezza di Israele Come se non bastasse, Bergoglio nel suo libro, “Verso un mondo migliore”, aveva sollevato la questione se quanto sta avvenendo nella Striscia non configuri un genocidio, provocando le proteste dell’ambasciata israeliana. Così non sorprende che lo Stato Ebraico abbia scelto una linea di freddezza, per essere eufemistici. E se il presidente israeliano Herzog è stato tra i primi a esprimere le sue condoglianze per la scomparsa del Papa, né il premier, Benjamin Netanyahu, né il ministro degli Esteri, Gideon Saar, si sono pronunciati. La lettera delle ambasciate israeliane nel mondo, in cui si dava l’addio a Francesco, è stata ritirata senza spiegazioni, suscitando l’ira delle delegazioni mentre un funzionario del ministero ha fatto trapelare un commento secco: “abbiamo criticato il Papa quando era in vita, non possiamo parlare adesso che è morto”. D’altronde, a scavare ancora più a fondo il solco, come a rincarare la dose, nel suo ultimo discorso, Francesco aveva descritto Gaza come “una situazione ignobile”. Parole che hanno costruito un muro di silenzio invalicabile per lo Stato Ebraico.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Il mondo islamico saluta Francesco