Usa-Iran, trattative in Oman sul nucleare: a che punto è il negoziato

Sono previsti per sabato a Roma i secondi incontri mediati dal Qatar tra Stati Uniti e Iran sul nucleare. I colloqui seguiranno quelli di una settimana fa a Mascate, giudicati “positivi” dall’inviato Usa Steve Witkoff, e “costruttivi” dal ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi. Persino la Guida suprema dell'Iran, Ali Khamenei, è sembrato fiducioso dichiarando che "i primi passi sono stati compiuti bene e correttamente eseguiti": sabato scorso Usa e Iran non hanno dialogato direttamente, ma con l’intermediazione dell’Oman, e solo alla fine del confronto c’è stato un breve scambio diretto tra Witkoff e Araghchi. Si prevede che nella giornata del 19 aprile lo schema sarà lo stesso, anche alla luce dei primi risultati ottenuti. Gli Usa: sì all'uso civile del nucleare per l'Iran L’amministrazione di Donald Trump ha aperto all’uso dell’energia nucleare a fini civili da parte dell’Iran in cambio dell’impegno della Repubblica Islamica a non costruire un’arma atomica mantenendo ridotti livelli di arricchimento dell’uranio. A dichiararlo è stato lo stesso Witkoff in un’intervista a Fox News, in cui l’inviato Usa ha detto che “l’attenzione degli Stati Uniti è sul livello di arricchimento e non sull’obiettivo di una completa denuclearizzazione”. L’immobiliarista newyorkese scelto da Trump come suo ambasciatore personale per il Medio Oriente ha specificato che “il presidente è chiaro: l'Iran non può avere una bomba", e “non ha bisogno di arricchire l’uranio oltre il 3,67%”. L’Iran ha aggiunto livelli di arricchimento massimi del 60% nelle sue centrali nucleari, una soglia ancora distante dal 90% necessario per poter sviluppare un’arma atomica ma che mostra l’avanzamento tecnico della Repubblica Islamica. L’innalzamento delle soglie di arricchimento è stato utilizzato come leva negoziale di fronte all’aumento delle sanzioni statunitensi prima e dopo l’insediamento di Trump. Il riferimento alla soglia specifica del 3,67% di arricchimento dell’uranio non è casuale. Witkoff fa riferimento al livello massimo indicato nell’accordo sul nucleare iraniano concluso nel luglio 2015 da Washington e Teheran e firmato anche da Cina, Russia, Francia, Germania, Regno Unito e Unione Europea. Il negoziato e i suoi obiettivi In sostanza, l’amministrazione Trump riscopre gli accordi conclusi da Barack Obama e poi rinnegati nel primo mandato del tycoon nel 2018. Trump ha definito “un disastro” il Jcpoa e spesso sostenuto il premier israeliano Benjamin Netanyahu nel comune proposito di negare qualsiasi accesso all’energia atomica per Teheran, ma ora sembra pronto a fare dietrofront. Trump non ha certamente ridotto il suo appoggio a Israele, e la copertura totale di Tel Aviv nella guerra di Gaza lo conferma, ma ha una visione diversa circa le strategie ottimali con cui contenere il rivale iraniano. Da un lato Israele ritiene una minaccia esistenziale la prospettiva dell’acquisizione di un’arma nucleare da parte dell’Iran e dopo gli scontri con Teheran nel 2024 starebbe addirittura valutando l’ipotesi di raid aerei contro le centrali nucleari del Paese nel corso del 2025. Dall’altro, Trump ritiene che l’Iran possa essere spinto a negoziare coniugando pressione politico-militare e trattative dirette. Non a caso, il negoziato è stato avviato nelle settimane in cui Washington intensificava i bombardamenti sugli Houthi filo-iraniani in Yemen. Trump, inoltre, deve rispondere alla sua base elettorale ostile alle grandi avventure militari all’estero e che difficilmente vedrebbe di buon occhio uno scontro diretto con l’Iran. Peraltro, l’idea di una soluzione militare della sfida con l’Iran appare operativamente rischiosa. Justin Bronk, analista militare del Royal United Services Institute, ha ammonito parlando con il Times of Israel che "a meno che non si verifichi un cambio di regime o un'occupazione, è piuttosto difficile immaginare come degli attacchi militari possano distruggere il percorso dell'Iran verso l'arma nucleare". In quest’ottica riprende piede la discussione sul rilancio del negoziato tra Usa e Iran, e non a caso l’attenzione posta da Witkoff sull’arricchimento richiama le prescrizioni del Jcpoa: l’accordo dell’era Obama non è mai formalmente venuto meno, dato che eccezion fatta per il ritiro americano tutte le altre controparti restano aderenti al piano del 2015, ma entro fine anno si assisterà alla sua scadenza formale. In quest’ottica, è possibile pensare che l’unica base negoziale realistica possa fondarsi su un dialogo simile a un’intesa che, si legge in un’analisi di Ispi, “offre a Teheran un alleggerimento delle sanzioni in cambio di limitazioni alle sue attività di arricchimento dell’uranio”. Trump "riscopre" Obama? Gli Usa vogliono prevenire l’accesso all’atomica della Repubblica Islamica, Teheran, invece, vuole scongiurare l’imposizione delle sanzioni imposte nel 2015 il cui ritorno, nota l’Ispi, “infliggerebbe un colpo mortale alla già barcollante economia iraniana mentre tra aumento dei prezzi dei generi alimentari, continuo indebolimento del rial e costanti interruzioni di corrente elettrica, il governo riformista di Massoud Pezeshkian fatica a gestire il malcontento popolare”. Difficilmente il presidente Usa lo ammetterà mai, ma in fin dei conti l’ipotesi più pragmatica punta nella direzione dell’accordo siglato nel 2015 da Obama.

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