Dossier, decreti e intimidazioni: la guerra di Trump agli studi legali

Un’espressione particolarmente fortunata dell’italiano dice che una persona che trova sempre qualcosa da ridire su tutto fa “l’avvocato del diavolo”. Ma il diavolo, a volte, si nasconde nei dettagli, sostiene un altro modo di dire assai popolare. Nelle ultime settimane, mentre il mondo discuteva della svolta autoritaria messa in atto giorno dopo giorno dall'amministrazione Trump, il neo presidente degli Stati Uniti ha messo in atto una serie di azioni politiche senza precedenti, scagliandosi lancia in resta contro importanti studi legali americani che in passato hanno rappresentato suoi avversari politici. Le misure di vendetta istituzionale, che hanno preso la forma di ordini esecutivi e memorandum presidenziali, sono rimaste relativamente in ombra rispetto alla crociata contro le persone transgender e alle deportazioni per reato d’opinione, ma hanno portato con sé preoccupazioni sostanziali per l'indipendenza della professione legale e il rispetto dei dettami costituzionali. Il 6 marzo il governo Trump ha emesso un ordine esecutivo contro lo studio legale Perkins Coie, accusandolo di essere un rischio per la sicurezza nazionale. La sua colpa? Avere ingaggiato per conto di Hillary Clinton la società di intelligence Fusion GPS nel 2016 per produrre il cosiddetto "dossier Steele", quello che ha documentato gli abboccamenti tra il team Trump e la Russia durante la campagna elettorale del 2016. La legge ha sospeso i permessi operativi degli avvocati dello studio, vietando loro l'accesso agli edifici governativi e ordinando la cessazione dei contratti federali in essere con l’azienda. In risposta, Perkins Coie ha intentato una causa contro l'amministrazione, sostenendo che l'ordine rappresentava una ritorsione politica che violava i diritti del Primo e del Quinto emendamento della Costituzione degli Stati Uniti. Lo scorso 13 marzo un giudice federale ha temporaneamente bloccato alcune disposizioni della mossa di Trump, sostenendo che aveva verosimilmente violato diversi emendamenti costituzionali e prodotto un effetto «spaventoso» sulla professione legale. Altri studi legali hanno adottato strategie diverse. Paul, Weiss, Rifkind, Wharton & Garrison LLP, ad esempio, si è seduto a un tavolo con l’amministrazione Trump e ha trattato un accordo, dopo essere stata bersagliata da un decreto simile. Secondo quanto riportato dai media d’oltreoceano, lo studio ha accettato di fornire l’equivalente di 40 milioni di dollari in servizi legali pro bono a sostegno delle cause del governo, e di dismettere l’applicazione di policy in favore della diversità ed inclusione all’interno dello studio: in cambio, ha ottenuto la revoca dell'ordine. Azioni che hanno inevitabilmente suscitato una forte reazione nella comunità giurisprudenziale. Oltre 500 studi legali hanno firmato un amicus brief a sostegno dello studio Perkins Coie, denunciando gli ordini esecutivi come una grave minaccia alla governance costituzionale e allo stato di diritto. Eppure questa iniziativa ha fatto rumore anzitutto per le sue defezioni: i più grandi studi legali statunitensi, tra cui Kirkland & Ellis e Latham & Watkins, non hanno partecipato a questa lettera, probabilmente temendo ritorsioni da parte della Casa Bianca. I senatori Democratici, capitanati da Richard Blumenthal e Jamie Raskin, hanno denunciato l’accaduto, sottolineando che la campagna dell'amministrazione di fatto costituisce una coercizione illegale volta ad allineare gli specialisti della legge americani alla sua agenda politica. Inoltre, i politici della sinistra Dem hanno richiesto ulteriori informazioni a diversi studi legali in merito ai loro accordi siglati per placare le ire dell'amministrazione Trump. La comunità legale statunitense rimane divisa su come affrontare queste pressioni, nonostante tutto. Mentre alcuni studi hanno scelto di resistere adendo le loro vie più consuete, quelle legali, altri hanno preferito negoziare per proteggere le proprie attività, non diversamente da quanto avvenuto in ambito accademico con le grandi università. Una domanda terribile e senza precedenti aleggia sullo sfondo di queste querelle: gli avvocati d’America sono ancora in grado di rappresentare i propri clienti senza temere ritorsioni di provenienza governativa?

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