Cina-Taiwan, prove di guerra

Continuano le esercitazioni militari cinesi al largo di Taiwan e torna a farsi strada l’ipotesi di un attacco imminente della Cina. Da alcune immagini satellitari si vedono chiaramente alcune navi pontile partire dalla costa cinese. I documenti Usa Anche dai documenti secretati del Pentagono emerge come gli Usa diano quasi per certo un attacco a Taiwan e si preparino al contrattacco, concentrando ancora di più le forze nell’Indo Pacifico. Strategia non nuova quest’ultima, inaugurata dall’amministrazione Obama nel 2012 con il “Pivot to East Asia”. Quanto si legge nei documenti del Pentagono sembra ispirato dal report dell’Heritage Foundation, think-tank conservatore nato negli anni ’70, diventato noto sotto Reagan e autore di Project 2025. Nelle tre pagine del rapporto la visione dell’Europa è molto chiara. L'Heritage Foundation sostiene come gli europei debbano farsi carico delle armi non convenzionali per far fronte all'aggressività russa: gli Usa lascerebbero agli europei solo la parte del nucleare che non gli occorre nell'Indo Pacifico. La frase chiave del documento è questa: l’Europa è importante per gli interessi americani ma meno dell’area Indo Pacifico. Ipotesi conflitto Taiwan-Cina nel 2027 Per questa ragione coloro che sono pro RearmEu ritengono che opporsi al riarmo in chiave di deterrenza sia immaginare di vivere ancora nel proprio orticello ignorando chi ci circonda. Lo stesso Vance del resto alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco spiegò che i Paesi europei avrebbero dovuto assumersi maggiori responsabilità per la difesa militare. Si cita spesso in vari documenti il timore che l’anno del conflitto Taiwan-Cina possa essere il 2027. Non a caso nel viaggio del segretario alla Difesa in Asia, un giornalista del quotidiano conservatore Washington Times chiede a Hegseth - citando quella data - quanto sia importante in chiave di deterrenza prevenire un attacco cinese a Taiwan. “Al momento - rispose Hegseth - il nostro lavoro è ristabilire una politica di deterrenza”. Nel 2027 si festeggerà l’anniversario del centenario della fondazione dell'Esercito di Liberazione Popolare Cinese e simbolicamente è l’anno della capra, che per la Cina indica il perdono. A ottobre scorso Pechino fece una prova di accerchiamento a forma di cuore che circolò su WeChat con a sinistra la scritta che vedete: spedizione navale dal cuore dolce. La strategia Usa Quello che alcuni studiosi temono è che la Cina – dal suo punto di vista – chieda ai cugini cinesi di arrendersi pacificamente. A quel punto gli Usa e i suoi alleati potrebbero imporle di non farlo e da lì nascerebbe il casus belli. Finora però, in verità, la politica americana ha sempre abbracciato la cosiddetta ambiguità strategica quindi non è detto che si arrivi allo scontro con la Cina. Il problema degli Usa è che hanno una industria di difesa molto indebolita: non sono più in grado di costruire navi anche civili da convertire; per manutenere un sottomarino occorrono almeno tre anni; nel caso di uno scontro avrebbero scorte di missili a lungo raggio per al massimo un mese, ecc. In pratica hanno bisogno di tempo per recuperare e si capisce così anche la fretta di concentrarsi su un solo campo d’azione . Lo scorso 5 marzo al candidato come capo dei consiglieri per la sicurezza di Trump, Elbridge Colby, in un’audizione al Senato viene chiesto: Mr. Colby, siamo in difficoltà con gli armamenti e non possiamo essere ovunque allo stesso tempo, che ne pensa? La risposta , a pagina 123, suona così: “Se la Cina si accorgesse del bluff, sarebbe una catastrofe, peggio ancora se fossimo impegnati su più fronti, cosa che non siamo in grado di sostenere”. Sulla situazione molto precaria del sistema industriale della difesa Usa esistono due report che giungono alla medesima conclusione: in caso di scontro con la Cina sul tema Taiwan, gli Usa esaurirebbero alcune importanti armi convenzionali in circa otto giorni . Forse è in questo senso che dobbiamo leggere la fretta di Trump di chiudere i conflitti sparsi nel mondo per concentrarsi solo sull’Indo Pacifico. Resta un’ipotesi, nel mare magnum di analisi geopolitiche. Eppure gli ultimi accadimenti mostrano un Xi Jinping più morbido con i suoi vicini di casa – del resto in questa fase di dazi gli serve – provando a tenere insieme economicamente l’Asia, malgrado le ruggini geopolitiche, stringendo accordi commerciali anti tariffe Usa con Corea del Sud e Giappone. . “C’è un tentativo cinese di avvicinare questi Paesi – spiega Alessia Amighini dell’Università del Piemonte Orientale – attraverso questo nuovo dialogo per un accordo trilaterale anche se va detto Tokyo e Seul non hanno questo grande interesse”. Amighini sottolinea come abbiano subito smentito che non ci saranno dazi comuni contro gli Usa. “E’ semplicemente una discussione su un maggiore commercio tra queste aree ma è soprattutto una operazione di marketing di Pechino in un momento difficilissimo per la Cina”, conclude.

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