Fatma Aydemir: “In Turchia il coraggio di resistere nonostante l’oppressione”

Fatma Aydemir è nata nel 1986 in Germania da una famiglia di origine turco-curda. Il suo ultimo romanzo, “Tutti i nostri segreti”, edito in Italia da Fazi, ha scalato le classifiche tedesche ed è stato inserito da Der Spiegel nella classifica dei cento libri più importanti dell’ultimo secolo. Racconta la storia di una famiglia di emigrati simile, per certi versi, alla sua. Un dramma in sei atti in cui ogni personaggio è esplorato nella sua complessità tra i flashback di un passato traumatico e il presente, ovvero la Germania di fine millennio. C’è il padre Hüseyn che in trent’anni di lavoro in una fabbrica vagheggia il ritorno a Istanbul, un ritorno che si rivelerà molto diverso da come lo aveva immaginato. La madre Emine nasconde ai figli di essere curda, la figlia maggiore Sevda subisce le scelte dei genitori senza apparente via di scampo, l’indomita Peri che sceglie la trasgressione e i due maschi, Ümit e Hakan, l’uno lacerato da una diversità che non sarebbe mai accettata all’interno delle mura domestiche e l’altro sfiancato dal peso delle aspettative. Vicende che si sviluppano sullo sfondo di una Germania ostile, in cui l’odio nei confronti degli stranieri sfocia in violenza, e di una Turchia che resta evanescente, irraggiungibile, enigmatica. Abbiamo incontrato Fatma Aydemir a Milano, dove è stata ospite del BookPride, proprio nei giorni in cui l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, ora deposto, e principale oppositore del presidente Recep Tayyip Erdoğan, divide il Paese e riempie le piazze contro il regime. ”Negli ultimi dieci anni abbiamo parlato tante volte di questo fatidico momento di svolta – ci ha detto Aydemir - e sembra che ogni anno siamo vicini al momento di svolta, ma l’impressione è che si viva nell’eterna attesa. Quindi, direi che è un periodo molto frustrante perché in Turchia le restrizioni antidemocratiche e lo sviluppo di un intero sistema autocratico vanno avanti da così tanti anni e penso che questa sia solo una nuova escalation, coronata dalla detenzione del sindaco di Istanbul. Tutto questo non ha necessariamente più un impatto così grande sulla vita delle persone, perché la libertà di stampa è stata abolita da lungo tempo e tante altre libertà sono negate sistematicamente. Ciò che mi dà speranza è che, nonostante ci siano così tante pressioni e così tanta repressione in corso, le persone abbiano ancora il coraggio di scendere in piazza per protestare. Questo mi dà fiducia, perché penso che potrebbe indicare che la fine sia vicina in qualche modo”. Stiamo faticosamente raccogliendo informazioni, visto che la situazione della libertà di stampa in Turchia è drammatica, come ricordava, ma vediamo tanti giovani in piazza a manifestare contro il presidente. Pensa che questa generazione potrà fare la differenza? Dipende. Penso che molte cose stiano cambiando. Dobbiamo partire da un presupposto. In Turchia ci sono due problemi principali: innanzitutto un forte nazionalismo che è un fatto indiscusso. Dal mio punto di vista i giovani stanno diventando più critici, rispetto alla generazione dei genitori, su questo tema. Ed è un’evoluzione positiva. L'altro grande problema è il fondamentalismo religioso che è un fenomeno globale. I ragazzi hanno uno sguardo, anche su questo, più critico di chi li ha preceduti. Ma alla fine, il sistema di potere in Turchia non si basa davvero sui giovani che vivono lì, ma piuttosto sul sostegno complessivo che la Turchia riceve dall'Unione europea, ad esempio per respingere gli immigrati dietro il confine turco. Quindi finché ci sarà questa configurazione e questo grande sostegno dall'Europa, penso che sia molto difficile indebolire questo governo dall'interno. Nel suo primo libro “Elbow” ha raccontato la storia di una diciassettenne che si trova improvvisamente costretta a emigrare a Istanbul. Quest’ultimo romanzo, “Tutti i nostri segreti”, si apre con il ritorno nella metropoli sul Bosforo di un emigrato in Germania dopo 30 anni: è un’ossessione per il ritorno? Tornare nel Paese da cui sei emigrato è una parte cruciale dell'esperienza dell'immigrazione, perché ovviamente l'immigrazione fa spesso rima con frustrazione. Molte persone esorcizzano la paura del fallimento con la prospettiva di poter tornare un giorno, se le cose dovessero andare male. Sono cresciuta in una famiglia di immigrati dove c’è sempre stata questa idea, che un giorno saremmo tornati, ma a dire la verità nessuno ha mai fatto davvero ritorno. Questo tic familiare l’ha ispirata nella sua letteratura? Mi piace esplorare le esistenze di chi concepisce la propria vita e la quotidianità come una situazione temporanea e di chi vagheggia una emigrazione di ritorno. Il pensiero di tornare indietro, anche se poi sappiamo che non accadrà, è un po' come coltivare un'utopia per un futuro migliore e riporre delle aspettative sul proprio Paese di origine, nella speranza che possa essere cambiato nel frattempo, un Paese a cui paradossalmente si sente di appartenere più di quanto si appartenesse prima di lasciarlo. Che ruolo hanno avuto le origini curde della sua famiglia, minoranza che in Turchia subisce forti discriminazioni? Penso personalmente che questa eredità sia stata molto importante mentre crescevo, un senso di invisibilità che mi è stato trasmesso, ma adesso non è più una questione determinante per me, ma più una situazione politica che trovo molto interessante come scrittrice. Per questo ho scritto un libro su una famiglia che è stata invisibile in Turchia in quanto famiglia curda, famiglia curda assimilata. Arrivando in Germania come immigrati, diventano di nuovo invisibili, è come una doppia invisibilità, le invisibilità si sommano. L’essere curda è solo una parte della mia identità, mi identifico anche come curda perché parte della nostra famiglia è curda, ma mi identifico allo stesso tempo come madre, come scrittrice, come femminista. È solo un aspetto, direi, di una situazione molto complessa per me che si chiama identità. Veniamo quindi alla Germania. Il centro-destra ha vinto, con uno dei peggiori risultati di sempre. L’ultradestra di Afd ha sorpassato l’Spd con dei numeri storici, che erano, del resto, preannunciati dalle elezioni regionali del 2024. Cosa penserebbero i suoi personaggi delle ultime elezioni tedesche? La storia che ho raccontato è ambientata negli anni Novanta in Germania. È un periodo in cui fu molto forte la violenza razzista. Racconto di case incendiate dai neo-nazisti e del tentativo di uccidere i figli degli immigrati nel sonno. Quindi penso che per i miei personaggi non sarebbe una grande sorpresa scoprire i risultati delle ultime elezioni. Molte persone in Germania sono irragionevolmente stupite dalla ascesa della estrema destra, ma in realtà è in perfetta continuità con gli anni Novanta e con quello che c’è stato prima. Io sono cresciuta in un ambiente abbastanza protetto, ma ho sofferto molto per le discriminazioni. I miei genitori, ad esempio erano costretti a scegliere gli appartamenti in zone di un certo tipo per evitare di diventare target potenziali di attacchi incendiari, che erano spesso indirizzati ai quartieri di migranti. Ha mai pensato di lasciare la Germania per tornare a Istanbul, come capita ai suoi personaggi? No, non sarebbe comunque un ritorno per me perché sono nata in Germania. Tuttavia, devo ammettere che credo di aver avuto questa fase, come molti figli di immigrati, in cui in un certo momento si idealizza il posto da cui provengono i propri genitori: è il risultato della frustrazione che provi nel luogo che vorresti e dovresti chiamare casa, perché è lì che sei cresciuto ma in cui nonostante tutto continui a sentirti un estraneo. In questo contesto è facile da idealizzare l'altrove, il posto dove torni solo per le vacanze. Ma non ho mai considerato seriamente di vivere lì. Il momento del ritorno in un certo senso c’è stato quando ho trascorso un periodo a Istanbul per lavorare al mio primo libro e poi per lavorare al mio secondo. Ho sentimenti molto ambivalenti. Amo questo posto ma lo odio allo stesso tempo.

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