Cisgiordania, la terra negata

Da quando, tre settimane fa, sono stati costretti a lasciare la casa dove hanno vissuto per anni, destinata ora alla demolizione, Mohammed e la moglie Fatima non erano più riusciti a visitare la tomba del figlio. Una volta ottenuto il permesso di rientrare per prendere alcune cose, ne hanno approfittato per dare un saluto ad Alì, un ragazzo palestinese di 17 anni, ucciso durante un’incursione dell’esercito israeliano. “Siamo tornati nelle nostre case per provare a recuperare quello che avevamo lasciato – dice Mohammed -. Ma non puoi prendere tutto: ogni persona ha ricordi legati alla sua casa, al suo quartiere, alle strade che ha percorso”. Nel loro caso, c’è molto di più: il ricordo di un figlio morto giovanissimo. La loro è una delle tante storie che in queste settimane stanno arrivando dal nord della Cisgiordania, da quando il 21 gennaio, due giorni dopo il cessate il fuoco nella striscia di Gaza, il governo israeliano ha dato il via a un’operazione battezzata “Muro di ferro”, ancora in corso, che ha costretto almeno 40mila palestinesi a lasciare le proprie case. L’espansione delle colonie È solo una fase di un piano approvato l’anno scorso dall’esecutivo di Netanyahu, volto a espandere gli insediamenti in questi territori, riconosciuti come palestinesi dai trattati e dalla comunità internazionale, ma da decenni occupati illegalmente da Israele. Una politica che, come racconta una responsabile di B’tselem, ong israeliana attiva nella difesa dei diritti dei palestinesi nei territori occupati, ha conseguenze devastanti sulla popolazione indigena. “I palestinesi – dice Sarit Michaeli - provano ad aggrapparsi alla loro terra, perché non hanno altra scelta. Non hanno nessun altro posto dove vivere e nessuna possibilità di trovare un lavoro: fanno un'agricoltura abbastanza semplice e allevano pecore e capre. E queste comunità, che sono tra le più vulnerabili della Cisgiordania, vivono su una terra che le autorità israeliane e i coloni bramano, vogliono usare questa terra. E questo tipo di area di cui stiamo parlando, le parti rurali della Cisgiordania, sono completamente controllate da Israele. Stiamo parlando del 60% della Cisgiordania”. L’aumento delle violenze Un territorio sempre più teatro di violenze: nel mese di febbraio si sono contate almeno 50 vittime, mentre stanno subendo un’ulteriore recrudescenza la brutalità dei coloni. Le case assaltate e date alle fiamme e i furti di bestiame, spesso unica fonte di sostentamento per queste comunità, da anni ormai parte della quotidianità dei palestinesi, hanno subito un’accelerazione nelle ultime settimane, tanto da spingere l'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk a intimare a Israele di cessare immediatamente tutte le attività di insediamento, di evacuare tutti i coloni e fermare il trasferimento forzato della popolazione palestinese: tutte politiche che equivalgono a “crimini di guerra”. Parole che non sembrano turbare il governo israeliano: il premier Netanyahu ha anzi parlato della possibilità di aprire un fronte più ampio in Giudea e Samaria, il nome biblico della Cisgiordania usato da Israele. C’è chi si è spinto più in là. Le mire di annessione Se nel governo più a destra della storia di Israele, alcuni giustificano questo tipo di politiche formalmente con questioni legate alla sicurezza, altri, invece, parlano esplicitamente di annessione: il ministro delle Finanze incaricato dell’amministrazione della Cisgiordania occupata, l’estremista Bezalel Smotrich, colono a sua volta, leader del partito ultraortodosso di estrema destra Sionismo religioso, determinante per la tenuta del governo fragile di Netanyahu, ha messo in atto in questi anni al governo tutta una serie di politiche e strategie per espropriare sempre più terra ai palestinesi, aumentare pressione e controllo su di loro, dare legittimità ad avamposti e insediamenti illegali. Il risultato è che la popolazione ebraica in Cisgiordania è cresciuta lo scorso anno a un ritmo doppio rispetto alla popolazione israeliana generale. Lo scorso anno la popolazione di coloni ebrei è aumentata di circa il 2,3% – oltre 12mila persone – sfiorando così complessivamente le 530 mila. “Penso che qui vedremo un'esplosione di nuove costruzione e che i tassi di crescita della popolazione ebraica saranno molto più alti, con il supporto dell’amministrazione guidata da Donald Trump”, dichiara il direttore del West Bank Jewish Population Stats. “Abbiamo molta terra in Giudea e in Samaria – ha continuato - è un buon mercato, possiamo risolvere il problema degli alloggi per le giovani coppie e riportare i prezzi delle case a livelli accessibili. Sono favorevole all’annessione al 100%”. Politiche, quelle di Israele, che stanno pregiudicando qualsiasi possibilità di una soluzione “a due Stati”. Le ultime tensioni, il progressivo ampliamento delle colonie, le politiche aggressive del governo di Israele stanno annientando tutte le aspirazioni palestinesi e, di fatto, chiudendo a ogni prospettiva di pace.

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