Filippine, Duterte arrestato: la guerra alla droga e la lotta di potere interna

L’arresto di Rodrigo Duterte riaccende i fari sulle Filippine e sulle problematiche legate alla durissima guerra alla droga condotta dall’ex presidente durante il suo mandato da capo dello Stato. Martedì Duterte, 78 anni, è stato arrestato all’aeroporto della capitale Manila di ritorno da un viaggio ad Hong Kong su mandato della Corte Penale Internazionale. Il governo del presidente Ferdinando Marcos Jr. ha dato attuazione alla richiesta della Cpi contro l’ex leader del Paese, al potere dal 2016 al 2022. Il giorno prima, parlando alla comunità filippina ad Hong Kong, Duterte aveva sfidato la corte circa la sua richiesta d’arresto: "Se questo è davvero il mio destino nella vita, va bene, lo accetterò. Possono arrestarmi, imprigionarmi", ha detto Duterte al comizio . "Qual è il mio peccato? Ho fatto tutto nel mio tempo per la pace e una vita pacifica per il popolo filippino”, ha aggiunto. Un lungo braccio di ferro Nel 2019 la Cpi ha avviato indagini contro Duterte per le campagne di uccisione extragiudiziaria di sospetti trafficanti e consumatori di diversi tipi di droghe proposta dal leader populista filippino prima da sindaco di Davao, la città sull’isola di Mindanao di cui è originario, e poi, nei sei anni da presidente, in cui si stima che la polizia, le forze di sicurezza e i paramilitari vicini al governo abbiano ucciso almeno 6mila persone. Duterte ora dovrà rispondere di accuse pesanti. Le Filippine hanno accordato il mandato d’arresto per Duterte tre anni dopo che Marcos, figlio dell’omonimo dittatore Ferdinando Marcos, al momento dell’elezione negò l’autorizzazione a procedere contro Duterte. Ai tempi il neoeletto presidente disse che la Cpi “non aveva giurisdizione” nel Paese, da cui proprio nel 2019 Duterte l’aveva ritirata. Inoltre, la vice di Marcos era proprio la figlia del suo predecessore, Sara, con la quale, però, negli anni i rapporti si sono profondamente deteriorati. L’arresto di Duterte è dunque, indubbiamente, il coronamento di un lungo processo d’indagine della Cpi su una fase cupa e piena di zone d’ombra della recente storia filippina. Una storia fatta di abusi di potere, violenza e molto sangue. Ma, al contempo, la consegna di Duterte alla Cpi si inserisce anche nel quadro di una lotta di potere tra sistemi e gruppi di potere in competizione tra loro a Manila. La lotta di potere tra Marcos e i Duterte Gli osservatori specializzati nelle dinamiche del Paese asiatico notano che l’arresto sarebbe stato impossibile se tra Marcos Jr. e Sara Duterte non si fosse arrivati alla rottura totale. Tra i due clan più potenti della politica filippina è in corso un durissimo braccio di ferro: “A metà del 2024, Duterte si è dimessa dal gabinetto Marcos e da allora è stata indagata dalla Camera dei rappresentanti per il suo uso improprio di milioni di dollari di fondi pubblici”, nota The Diplomat, che ricorda come a febbraio l’ex vicepresidente “è stata messa sotto accusa dalla Camera per questa e una serie di altri capi d’imputazione, tra cui corruzione e una presunta minaccia di uccidere il presidente”. Sara Duterte affronterà il processo parlamentare mentre per il padre si aprirà quello a L’Aja, in Olanda, Paese dove l’ex presidente è oggigiorno detenuto in attesa che inizi la fase istruttoria e che la procura della Cpi presenti le prove contro l’imputato. Il campo vicino all’ex capo dello Stato e alla figlia fa notare che Marcos intenderebbe sfruttare questa fase per avvantaggiare politicamente il suo Partito Federale delle Filippine di stampo nazionalista contro i populisti del Partito Democratico delle Filippine di Duterte. Le elezioni di metà mandato sono alle porte e si terranno il 12 maggio: Marcos intende sfruttarle per rafforzare il suo controllo sul Parlamento e consolidare il suo potere e le sue strategie, che in campo economico e geopolitico puntano nella direzione di un consolidamento dei legami con gli Usa e i Paesi anti-cinesi della regione. Per Duterte, il capo di Stato sta sfruttando per fini propagandistici la questione giudiziaria. Le ferite del recente passato, dunque, continuano a colpire il Paese del Pacifico, diventando anche un caso politico interno: Duterte è stato assicurato alla giustizia e dovrà rispondere delle accuse, ma quanto c’entra l’effettiva volontà di giustizia e quanto, invece, una strumentale lotta di potere? Il quesito resta aperto, non aiutando a fare chiarezza sulle rotte politiche su cui si incamminano le Filippine.

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