L'attacco di Trump al Kennedy Center e alla cultura non partigiana

Le notizie che arrivano a ritmo forsennato dagli Stati Uniti e, in particolare, dalla Casa Bianca ci lasciano sbigottiti e frastornati. Evidentemente molte dichiarazioni di Donald Trump restano tali, tuttavia l'idea di sovraccaricare gli organi di informazione con una quantità insostenibile di dichiarazioni e annunci divisivi fa parte di una precisa strategia con l'obiettivo di far passare alcune iniziative concrete in qualsiasi campo, mentre i media si occupano di altro. Una delle prime decisioni a livello culturale dall'insediamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti è stato quello di assumere la carica di presidente del Kennedy Center, una delle istituzioni culturali di punta degli Stati Uniti. Si tratta infatti della prima volta che un presidente in carica assume questo ruolo – poi in realtà passato ad interim all’ex direttore dell'intelligence nazionale Richard Grenell: la nomina ha portato contestualmente all’estromissione della storica presidente Deborah Rutter e all'introduzione lampo nel consiglio d'amministrazione di figure politiche esclusivamente repubblicane come Susie Wiles, capo dello staff della Casa Bianca, Dan Scavino, vice capo dello staff, Usha Vance, moglie del vicepresidente J. D. Vance e la star della musica country Lee Greenwood. L'operazione ha scatenato un'ondata di dimissioni illustri del consiglio: dalla produttrice televisiva Shonda Rhimes alla soprano vincitrice di un Grammy Renée Fleming al musicista Ben Folds. Cos'è il Kennedy Center Fondato nel 1971 a Washington DC, il John F. Kennedy Center for the Performing Arts, noto semplicemente come Kennedy Center, è da sempre un punto di riferimento culturale negli Stati Uniti. Sostenuto in larga parte da donazioni private e incassi dalla biglietteria ma anche da fondi federali erogati dal National Park Service, comprende diverse sale prestigiose come la Opera House, il Concert Hall e l’Eisenhower Theater. Tra i vari programmi, ospita anche il Kennedy Center Honors, un premio annuale assegnato a figure di spicco del panorama artistico statunitense: nel 2024 sono stati premiati Francis Ford Coppola, Bonnie Raitt e i Grateful Dead, ma basta andare a vedere la pagina del Kennedy Center Honors, per vedere gli straordinari artisti che si sono esibiti nel corso di questi eventi. In generale i 2mila show annuali di teatro, danza e musica sono visti da circa 2 milioni di persone. Ma oggi tutto questo rischia di andare in forte crisi a seguito della decisione scioccante di Trump di prendere il controllo del Kennedy Center, con un fedele apparatčik al comando, mettendo il suo populismo anti-woke "Maga" in rotta di collisione con la scena culturale progressista americana come mai prima d'ora. Gli artisti stanno annullando gli spettacoli, i donatori stanno mettendo in dubbio il loro sostegno e il pubblico sta minacciando di boicottare. È la più grande crisi nei 54 anni di storia del Kennedy Center che è da sempre un'impresa bipartisan concepita per la prima volta durante l'amministrazione del presidente repubblicano Dwight Eisenhower e in seguito fu designato come memoriale del presidente democratico John F. Kennedy dopo il suo assassinio. Il futuro per il Kennedy Center Trump ha scritto sui social media che Grenell "condivide la mia visione per un'età dell'oro delle arti e della cultura americane" e che avrebbe supervisionato "le operazioni quotidiane" per garantire "niente più spettacoli di drag o altra propaganda anti-americana". Ma ha anche ammesso ai giornalisti di non aver mai assistito in passato agli spettacoli del Kennedy Center. La scorsa settimana Richard Grenell ha dichiarato alla Conservative Political Action Conference che la sua visione per il centro è "rendere di nuovo grande l'arte", inclusa "una grande celebrazione della nascita di Cristo a Natale". La comunità culturale è rimasta sbalordita dalla velocità della trasformazione: il consiglio di amministrazione, che è sempre stato bipartisan, è stato liquidato sommariamente. Il Kennedy Center è uno spazio neutrale, non partigiano per definizione, dove tutti possono vedersi sul palco. Spingerlo in uno spazio politico come questo è inaccettabile. Molte persone stanno annullando la loro iscrizione e alcuni artisti si stanno ritirando dal programma ancora in corso e questo ha creato un clima minaccioso e di tensione tra chi lavora in questa istituzione. Durante un concerto che si è svolto alcuni giorni fa al Kennedy Center la cantautrice Victoria Canal ha indossato una maglietta con la scritta ANTI TRUMP AF. Il comico W Kamau Bell ha attaccato duramente il presidente durante la sua esibizione e, in una frecciatina a un musicista pro-Trump, ha chiesto: "Quante volte puoi dare a Kid Rock il premio Mark Twain?". Per molti questa azione della presidenza Trump rappresenta un assalto alla democrazia e un vero e proprio atto di regime e ricorda ciò che è già successo con AP-Associated Press, esclusa dagli eventi della Casa Bianca per essersi rifiutata di seguire ciò che detta la Casa Bianca. C'è poi da ricordare che durante il primo mandato Trump ignorò il Kennedy Center, diventando il primo presidente a saltare sistematicamente la cerimonia di onorificenze. Il senso della cultura per Trump e le possibili conseguenze Sempre alla conferenza dei Conservatori Americani la settimana scorsa, quando a Grenell è stato chiesto quale pensasse sarebbe stata la performance ideale al Kennedy Center, ha scelto la cantante country Dolly Parton. "Mi piacerebbe molto vederla", ha detto. In effetti, il palato culturale del suo capo è congelato nel XX secolo. Trump è noto per ammirare cantanti come Elvis Presley e film come "Quarto potere" , "Il Padrino", "Via col vento" e "Il buono, il brutto e il cattivo". I suoi comizi elettorali si scaldano con numeri tratti dai musical di Andrew Lloyd Webber “Cats” e “The Phantom of the Opera” , si aprono con God Bless the USA di Greenwood e si chiudono con YMCA dei Village People. Tra i suoi sostenitori famosi ci sono Mel Gibson, Dennis Quaid, Kid Rock, Sylvester Stallone e Jon Voight, non proprio di primissimo pelo. Steve Bannon, consigliere storico di Trump, ha proposto maliziosamente un'esibizione di apertura del J6 Prison Choir, composto da persone incarcerate per l'insurrezione del 6 gennaio 2021 al Campidoglio degli Stati Uniti, solo per essere poi graziate da Trump. Secondo molti osservatori la gestione Trump ha di fatto dichiarato una sorta di “guerra alle arti” e, come storicamente è accaduto in passato, è probabile che si verifichi un'intera rivolta di crittori, musicisti, registi e attori che troveranno altre vie di espressione al fine di mettere in luce questa rotta disastrosa adottata dal governo per produrre un po' di grande arte.

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