Congo, M23 proclama un cessate il fuoco unilaterale. Gli scenari

In Congo i ribelli del gruppo M23 sostenuto dal Ruanda provano a imporre il fatto compiuto a Goma, proclamando un cessate il fuoco unilaterale senza però ritirarsi dalla città conquistata domenica scorsa. Nella giornata di lunedì 3 febbraio i combattenti hanno infatti dichiarato di voler fermare gli scontri col governo centrale congolese motivando la scelta con ragioni umanitarie, poco dopo che le Nazioni Unite avevano lanciato l’allarme per le conseguenze degli scontri che avevano causato, in una decina di giorni, la morte di 900 persone e lo sfollamento di decine di migliaia. Nei giorni scorsi il movimento ribelle che opera nella regione del Nord Kivu aveva annunciato la sua intenzione di non fermarsi dopo la caduta di Goma, città di 2 milioni di abitanti al centro di un territorio strategico per la ricchezza delle sue miniere che servono l’industria tecnologica globale. I combattenti del movimento M23 e l’organizzazione di milizie da loro guidata, l’Alleanza del Fiume Congo comandata dal leader ribelle Corneille Nangaa, nei giorni scorsi avevano proclamato la loro volontà di conquistare un altro capoluogo di provincia, Bukavu, e di marciare fino alla capitale congolese, Kinshasa, distante 1.600 km per rovesciare il presidente Felix Tshisekedi. Dopo giorni di serrati combattimenti, hanno poi deciso per fermare la loro offensiva. Il dietrofront dell'M23 "Deve essere chiaro che non abbiamo alcuna intenzione di catturare Bukavu o altre aree. Tuttavia, ribadiamo il nostro impegno a proteggere e difendere la popolazione civile e le nostre posizioni", ha affermato il portavoce dei ribelli M23 Lawrence Kanyuka, ribadendo la narrazione della milizia secondo cui l’obiettivo principale dell’insurrezione sarebbe la tutela della popolazione Tutsi del Kivu. La crisi congolese è stata tuttavia sbloccata principalmente dalle pressioni internazionali esercitata da diverse direzioni sul Ruanda, principale sostenitore dell’operazione militare del gruppo che è di fatto un proxy del governo di Paul Kagame. Il regime di Kigali, formato da un élite Tutsi salita al potere dopo il genocidio del 1994, sostiene con 4mila truppe le forze del gruppo M23, un aumento consistente rispetto all’ultima occupazione di Goma, conquistata per un breve periodo nel 2012. È stato l’appoggio logistico, economico e militare del Ruanda a far emergere il gruppo guidato da Nangaa come la più solida tra le oltre cento formazioni armate attive nell’Est del Congo, e la strategia di Kigali mira a usare la proiezione delle formazioni ribelli come leva per conquistare spazi nel confinante Congo e mettere le mani sulle materie prime critiche e il relativo commercio. Via ai negoziati, ma con difficoltà Da tempo la grande e fragile Repubblica Democratica del Congo denuncia la presenza della lunga mano ruandese dietro il gruppo M23 e il saccheggio del Kivu: a dicembre, ad esempio, ha denunciato le filiali di Apple in Belgio e Francia accusandole di far uso di minerali estratti dai gruppi ribelli e commerciati dal Ruanda. Dopo che i ministri degli Esteri del G7 hanno chiesto al Ruanda di far passare gli aiuti umanitari diretti alla popolazione del Kivu e che l’Unione Africana ha chiesto l’apertura di un dialogo, la cessazione unilaterale dell’offensiva da parte del M23 può aprire la porta alla diplomazia tra gli Stati. “L'annuncio dei ribelli è arrivato prima di un summit congiunto convocato questa settimana dei blocchi regionali per l'Africa meridionale e orientale, che per primi hanno chiesto un cessate il fuoco”, nota il Washington Post. Il presidente del Kenya William Ruto, padrone di casa del vertice convocato nella capitale Nairobi, ha annunciato che i presidenti del Congo e del Ruanda avrebbero partecipato: un passo in avanti rispetto al primo diniego di Tshisekedi, che si era rifiutato di negoziare fino a che i ribelli avessero continuato l’offensiva. La fine, temporanea, dei combattimenti non cancella però il dato di fatto della caduta di Goma e della difficile situazione che vive un Congo la cui statualità è sempre precaria e minacciata da insurrezioni interne e appetiti stranieri. Il valore strategico dell’area contesa per l’economia internazionale aggiunge peso agli appetiti di Stati come il Ruanda e rafforza la competizione per il controllo delle aree più critiche del Congo: le possibilità di risolvere queste problematiche per via negoziale si scontrano con una realtà sul campo che parla di gruppi in armi pronti a reclamare il proprio spazio di fronte a un’autorità centrale sentita come distante e debole.

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