La Cina sulla difensiva alla prova del Trump 2.0

La seconda amministrazione presidenziale di Donald Trump è alle porte e sarà particolarmente importante osservare come si svilupperanno le politiche americane nei confronti della Cina. Il principale rivale strategico di Washington è stato nel primo mandato di Trump l’avversario su cui maggiormente si sono concentrate le manovre economiche e le scelte diplomatiche del tycoon repubblicano, e la competizione aperta tra il 2017 e il 2021 non si è affatto sfumata nell’era di Joe Biden. Anzi, il Trump 2.0 eredita un clima di competizione che si è ulteriormente acuito nel periodo in cui la presidenza è stata in mano all’ex vice di Barack Obama, che ha costruito con Xi Jinping una diplomazia su due piani: duro confronto sui principali dossier strategici, dalla sicurezza dell’Estremo Oriente alla tecnologia passando per le rivalità commerciali, da un lato; continuità di un rapporto personale capace di alleviare tensioni e crisi dall’altro. Se nel 2016 il primo Trump era percepito come un’incognita a Pechino, un leader che faceva della competizione muscolare con la Cina la priorità del suo mandato, oggi il presidente eletto torna alla Casa Bianca trovandosi di fronte una Repubblica Popolare più consapevole. La Cina intende fronteggiare l’aggressiva retorica politica ed economica del capo di Stato Usa conscia di venire da una lunga fase di competizione, amplificata dalla guerra commerciale di Trump nel corso della prima amministrazione e dal boom dei dazi. Nonostante le sfide strutturali, la Cina conserva un ruolo determinante nell’economia globale, grazie alla solidità del suo settore manifatturiero. In risposta alle politiche di disaccoppiamento attuate dagli Stati Uniti, il governo cinese e la società nel suo complesso stanno adeguando le proprie strategie per navigare nella "nuova normalità" dell’arena internazionale. In primis, concentrandosi sull’innovazione interna come motore per la crescita. Il governo ha abbandonato l’obiettivo esclusivo di far crescere il PIL, spostando l’attenzione su investimenti nell’individuo e su uno sviluppo economico che sia inclusivo e sostenibile. Le aziende cinesi, da parte loro, stanno passando dal ruolo di semplici produttori a quello di fornitori di soluzioni, cercando di mitigare i rischi connessi alle guerre commerciali. Settori vitali come i semiconduttori, l'intelligenza artificiale e l'industria aerospaziale sono ora più concentrati sull’espansione del mercato interno per accelerare l’innovazione. In secondo luogo, il governo ha intensificato gli sforzi per stimolare la domanda interna, mentre lavora per diversificare le proprie relazioni economiche internazionali, aumentando così la propria resilienza in un contesto geopolitico e commerciale in evoluzione che la vedrà alla prova della sfida americana. I dossier di comune interesse sono quelli su cui negli ultimi anni le due grandi potenze si sono date battaglia. Tra l’era Trump e quella Biden, gli Stati Uniti hanno preso una posizione più forte nei confronti della Cina su vari temi. La pressione americana Washington ha intensificato le restrizioni commerciali, imponendo sanzioni a prodotti strategici come le auto elettriche cinesi, e ha sollevato preoccupazioni per la crescente influenza economica di Pechino sui mercati occidentali. Il governo degli Stati Uniti ha anche condannato le violazioni dei diritti umani in Hong Kong e nello Xinjiang e ha cercato di frenare l’espansione della Cina nell'area indo-pacifica, consolidando alleanze con le potenze regionali. Inoltre, sono state introdotte limitazioni sulle esportazioni verso la Cina di semiconduttori e tecnologie critiche per il suo progresso tecnologico. Nel frattempo, la Cina, guidata da Xi Jinping, ha aumentato la pressione su Taiwan, con frequenti esercitazioni militari che simulavano un blocco navale e aereo dell'isola. Pechino ha rafforzato i legami con la Russia, in seguito all'invasione dell'Ucraina, e ha avviato iniziative per sfidare l’egemonia del dollaro, con particolare attenzione al ruolo del gruppo dei Brics nell'offrire alternative al sistema finanziario internazionale esistente. Ci sono settori in cui il Trump 2.0 promette una sfida ancora più dura rispetto a quella dell’era Biden. La corsa al superamento dell’egemonia del dollaro, ad esempio, è stata duramente contestata da Trump che ha promesso tariffe al 100% qualora decidessero di promuovere una valuta alternativa al biglietto verde; inoltre, oggigiorno si parla di un presidente eletto prossimo ad imporre dazi generalizzati al 60% sui beni cinesi, ben oltre le strategie messe in campo dall'amministrazione Biden. Inoltre, la Chatham House ricorda che Washington è sempre più “in grado di imporre controlli sulle esportazioni estremamente dannosi per le industrie high-tech, come i motori aeronautici e la produzione di chip, o di sfruttare l'esorbitante privilegio di possedere la valuta di riserva internazionale” per danneggiare i suoi rivali, e che Trump è pronto a utilizzarli attivamente. I timori di Pechino Per la Cina la maggiore preoccupazione è proprio capire se, in un contesto di crescita economica più anemica, problemi finanziari interni e necessità di tutela delle politiche per lo sviluppo, un’aggressiva pressione di Trump possa compromettere in parte lo sviluppo della Repubblica Popolare. "Nel 2018 la Cina di Xi si è fatta sorprendere dalla guerra commerciale", commenta Filippo Fasulo, co-direttore dell'Osservatorio Geoeconomia di Ispi, "e la sua principale preoccupazione oggi è di essere pronti alla nuova sfida di Trump". Inoltre, "per questo dal 2020 Xi Jinping ha cercato di ridurre la dipendenza dagli Usa, ricercando per quanto possibile l'autarchia tecnologica nei settori critici come i semiconduttori", aggiunge Fasulo. L’autosufficienza è ritenuta necessaria da Pechino per competere nell’economia, nei campi decisivi per lo sviluppo tecnologico e industriale e per il rafforzamento del proprio apparato militare. Trump non è più una novità, la competizione con gli Usa è una certezza: il dato chiaro è che il nuovo governo Usa si troverà di fronte una Cina sulla difensiva in molti settori. Dalla guerra tecnologica ai dazi, resta da capire quanto il prossimo presidente Usa si vorrà spingere per consolidare le basi della leadership americana nei settori chiave, ampliando la strategia avviata nel 2006.

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