Crisi abitativa: il modello Vienna, capitale dell'edilizia sociale

“Se vuoi fare qualcosa di radicale, non è una brutta idea cercare di farlo apparire il più conservatore possibile”, spiega la storica austriaca Eve Blau, riferendosi ai blocchi di alloggi di edilizia sociale costruiti a Vienna tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. Tra questi, il Karl Marx-Hof o gli edifici costruiti nei pressi della stazione della metropolitana Margaretengürtel: grandi casermoni colorati con piccoli dettagli art déco che contengono alcuni dei 65mila alloggi costruiti dall’amministrazione socialista della città. Del periodo della “Vienna Rossa” si è tornato molto a parlare negli ultimi anni, dato che con il tempo il modello abitativo inaugurato allora rende ancora oggi Vienna la città con più appartamenti di “social housing” in Europa: circa 200mila, tra edifici di proprietà del municipio o costruiti da cooperative con l’aiuto di sovvenzioni municipali. Grazie a questo modello, circa la metà delle abitazioni della città è isolata dal mercato privato, con tariffe fissate per legge in base al reddito degli inquilini, e quindi impermeabile all’aumento dei prezzi degli affitti che ha colpito il resto delle città europee negli ultimi anni. Ecco quindi da dove viene e come funziona il “modello viennese”, spiegato attraverso i dati. Quasi la metà della popolazione vive in social housing La maggior parte degli appartamenti dell’edilizia sociale venne costruita poco dopo la fine della Prima guerra mondiale, che aveva causato l’arrivo a Vienna di migliaia di persone provenienti dal resto dell’impero asburgico, ormai dissolto. In questo contesto, il partito socialista, che aveva vinto le prime elezioni comunali democratiche nel 1918, progettò la costruzione di 65mila nuove unità abitative, finanziate grazie all’imposizione di ingenti tasse sui beni di lusso. All’interno dei nuovi immobili si trasferirono circa 200mila persone e gli affitti vennero fissati al 3,5% del reddito medio del lavoratore semiqualificato dell’epoca. Nel tempo, Vienna continuò a costruire nuove unità abitative di social housing e a proteggere quelle già costruite. Ad esempio, nel 2019, la città ha introdotto una nuova legge che prevede che nei progetti immobiliari che superano i 5mila metri quadrati, due terzi delle abitazioni devono essere destinate all’edilizia sociale. Dopo undici anni di pausa, la città ha ripreso a costruire nuovi blocchi di alloggi pubblici nel 2015 e ha stanziato 557 milioni di euro per nuovi progetti nel 2024. È anche grazie a questi ingenti investimenti che l’Austria è uno dei Paesi europei con il più alto numero di persone che vivono in affitto, come rilevano gli ultimi dati Eurostat disponibili. “Uno dei concetti chiave per comprendere l'approccio di Vienna all'edilizia abitativa è la sostenibilità sociale”, ha spiegato Maik Novotny, critico di architettura del quotidiano austriaco Der Standard. “Per evitare la creazione di ghetti e i costosi conflitti sociali che ne derivano, la città si adopera attivamente per far convivere negli stessi quartieri persone di diversa provenienza e con redditi diversi. L'edilizia sociale non è solo per i poveri”. Fin dagli anni Trenta, infatti, gli edifici di social housing sono stati costruiti in città, in zone ben collegate attraverso i mezzi pubblici e dove sono stati progettati anche parchi, asili, piscine e biblioteche. Non solo: il modello di edilizia sociale di Vienna si distingue anche per altre caratteristiche fondamentali rispetto ad altre città. Circa un quarto degli alloggi disponibili sono di proprietà del municipio: se si considerano anche le circa 200.000 abitazioni costruite da cooperative edilizie con sussidi municipali, questa cifra raggiunge quasi la metà del mercato immobiliare della città. Inoltre, i prezzi degli affitti sono calcolati in base al reddito degli inquilini e non superano mai il 20-25% delle entrate mensili. Per accedere al social housing, è necessario tuttavia non avere un reddito netto annuo superiore ai 53mila euro e vivere stabilmente a Vienna da minimo due anni: due criteri che vengono soddisfatti dal 75% della popolazione della città. Anche in caso di aumento del reddito, gli appartamenti non vengono assegnati a nuovi inquilini: una volta ottenuto, il contratto di affitto non ha scadenza e può anzi permettere di cedere l’alloggio ad altri membri della stessa famiglia. Per dare un’idea di come funziona il “modello viennese”, nel grafico qui sotto c’è un confronto con i dati attuali di stipendi e affitti nella capitale austriaca e nella città di Milano, dove la crisi abitativa in Italia è più forte. Lo stipendio medio di chi vive a Vienna supera di 600 euro quello di chi vive a Milano . Tuttavia, secondo lo studio "Indice di vivibilità in Europa" della banca N26, in media chi vive a Milano spende il 52% del proprio stipendio in affitto, ovvero circa 1038 euro. A Vienna, in un alloggio di proprietà del municipio o di una cooperativa, la cifra scenderebbe a 399 euro. Il lato oscuro del modello viennese Il modello abitativo di Vienna ha molti pregi, ma anche qualche difetto. Il sistema penalizza le persone straniere o che vengono da altre parti dell’Austria, che devono risiedere legalmente per almeno due anni in città prima di poter accedere a un alloggio di social housing . Anche la possibilità di trasferire gli alloggi da genitori a figli o parenti limita le possibilità di accesso all’edilizia sociale delle persone straniere. Un altro problema è rappresentato dalla gestione centralizzata degli alloggi da parte del municipio, la quale può causare ritardi e inefficienze nella manutenzione e nell'assegnazione degli incarichi ai custodi. Inoltre, l'intero sistema dipenda dalla stabilità politica dei socialdemocratici al governo della città, in un Paese dove, per la prima volta nel 2024, il partito di estrema destra FPÖ ha guadagnato la maggioranza dei seggi in parlamento.

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