Ciad, palazzo presidenziale sotto attacco. Attentato o tentato golpe?

Attentato o tentato golpe? È altissima la tensione in Ciad dopo che è stato sventato l’assalto al palazzo presidenziale della capitale nella giornata di mercoledì 8 gennaio. Un attacco che mostra la complessità delle sfide securitarie del Paese africano e, al contempo, dei problemi che la regione vive mentre attraversa una fase di ampi mutamenti dello scenario geopolitico. Attorno le 19:45 dell’8 gennaio un gruppo di 24 uomini armati ha preso d’assalto il complesso presidenziale della capitale N’Djamena venendo sopraffatto dalle truppe di guardia alla residenza del presidente Mahamat Deby. Poche ore prima nel palazzo si trovava il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, giunto in Ciad per un confronto con le autorità locali di un Paese sempre più attento a distaccarsi dal suo alleato tradizionale, la Francia, e a cercare sponde con attori come Cina e Russia. Uno scontro a fuoco ha portato all’eliminazione di 18 degli assalitori e all’arresto dei rimanenti, mentre un militare ciadiano è morto e tre sono rimasti feriti. Le piste per l’attentato L’Afp ha riferito da fonti delle forze armate del Paese africano che le autorità sospettavano come responsabile dell’attacco Boko Haram, l’organizzazione jihadista affiliata allo Stato Islamico presente nell'Africa subsahariana tra Nigeria, Camerun, Niger e Ciad, ma il ministro degli Esteri Abderaman Koulamallah ha smentito questa versione. “Probabilmente non erano terroristi”, ha dichiarato a caldo Koulamallah, riferendosi agli assalitori come a “Pieds Nickeles ubriachi”, un riferimento a un fumetto molto celebre nei Paesi di lingua francese che ha come protagonisti un gruppo di criminali sfortunati. In seguito, lo stesso Koulamallah, che oltre a guidare la diplomazia ciadiana è anche responsabile della comunicazione governativa, ha parlato di un “tentativo di destabilizzazione fallito” contro le istituzioni ciadiane. In altre parole, di un tentativo di colpo di Stato. Una capitale blindata Parole, quelle del ministro, che non hanno fatto altro che complicare la comprensione della vicenda, dato che non è giunta nessuna rivendicazione dell’attacco né sono state formalizzate accuse contro presunti organizzatori del tentativo di espugnazione del palazzo presidenziale che non poteva non avere come obiettivo il presidente Deby. Nelle ore immediatamente successive alla sparatoria e per tutta la notte la capitale è stata presidiata in forze dall’esercito, che ha schierato carri armati, blindati e mitragliatrici nelle strade del centro bloccando gli accessi al palazzo presidenziale, a testimonianza di un clima d’allarme notevole. “La sparatoria è scoppiata meno di due settimane dopo che il Ciad aveva tenuto delle contestate elezioni generali, salutate dal governo come un passo fondamentale verso la fine del regime militare, ma caratterizzate da una bassa affluenza alle urne e da accuse di frode da parte dell'opposizione”, ha scritto Africa Report. Inoltre, il Ciad vive da tempo una delicata situazione securitaria. Il riferimento a Boko Haram come possibile autore della strage circolato nelle prime ore, e poi smentito dalle autorità, è stato ritenuto credibile perché il Ciad viene da un anno caratterizzato da un aumento delle tensioni e degli scontri con i militanti. Le minacce del Ciad A ottobre un attacco di Boko Haram al villaggio di Ngouboua , vicino al Lago Ciad, che ha causato la morte di 40 soldati di N'Djamena, e l’Institute for the Studies of War ha segnalato che i jihadisti hanno conquistato diverse isole nel bacino attorno cui si concentra l’attività di Boko Haram usandole come basi logistiche. In questo contesto, a novembre Deby ha deciso di porre fine agli accordi di cooperazione militare con la Francia, che erano stati siglati nel 2019, aprendo la strada al ritiro militare di Parigi, preferendo affidarsi ad altri attori, come gli Emirati Arabi Uniti e la Russia, come partner securitari. L’attacco sventato al palazzo presidenziale, con tutti i suoi misteri, pone ulteriori dubbi sulla tenuta di un Paese critico per la stabilità regionale, attraversato dall’insorgenza jihadista, al confine con il Sudan dilaniato dalla guerra civile e confinante con la Libia divisa tra governi e autorità rivali tra loro. La stabilità del Ciad è cruciale per quella dell’intero Sahel, e la presenza di possibili minacce nel cuore stesso della sua capitale pone dubbi sul fatto che essa possa essere garantita nel medio-lungo periodo.

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