Bhopal, nel 1984 il più grave disastro chimico della storia

Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1984 in una fabbrica di pesticidi a Bhopal, nell'India centrale, inizia la fuoriuscita di un gas estremamente tossico, l'Isocianato di Metile. La fabbrica, gestita dalla multinazionale americana Union Carbide Corporation, si trova nei pressi della stazione, a fianco dei quartieri più poveri e più densamente abitati della città. Un'area che ospita mezzo milione di persone. In pochi istanti la nube tossica si espande tra le case. Molti muoiono nel sonno, altri vengono risvegliati dall'improvviso bruciore che sentono nei polmoni e negli occhi. Migliaia di morti in poche ore Inizia un fuggi fuggi generale che provocherà ulteriori vittime nella calca. A morire sono le persone più deboli ed esposte che vivono in quei quartieri: bambini e anziani. Secondo le autorità nei primissimi istanti muoiono 2.259 persone, numero che nelle ore successive sale a 3.787. Ma i danni provocati dal gas tossico continuano a far morire persone anche nei giorni successivi. Secondo agenzie governative le vittime dirette del disastro alla fine sono tra le 15mila e le 25mila. Ma il gas non ha ucciso solo le persone. Anche l'ambiente è stato devastato. Tutta l'area è contaminata, la terra è avvelenata e la falda acquifera è compromessa. Per gli abitanti di Bhopal inizia una lunga agonia: mezzo milione di persone continua a vivere esposta agli effetti del disastro chimico. Una strage annunciata A causare la fuga di gas quella notte non è però il caso. E' il frutto di anni di tagli al budget, soprattutto per quello che riguarda formazione del personale, sicurezza e manutenzione degli impianti. In quella fabbrica erano presenti ben sei sistemi di sicurezza che avrebbero potuto bloccare la fuga del gas. Nessuno di loro era funzionante. I lavoratori dell'impianto non erano mai stati preparati su come affrontare un'emergenza. La tragedia non fu quindi una tragica fatalità, ma, date le condizioni iniziali, un evento che sarebbe accaduto prima o poi. La mancanza di sicurezza L'americana Union Carbide iniziò a investire a Bhopal a partire dagli anni '70: l'India sembrava un mercato in espansione per i fertilizzanti e pesticidi. In particolare nell'impianto di Bhopal veniva fabbricato l'insetticida Sevin. La comparsa sul mercato di prodotti più a buon mercato aveva però portato la Union Carbide a disinvestire: ad essere tagliate furono le misure di sicurezza. Dopo il disastro la multinazionale americana tentò di attribuire la colpa a un'azione di sabotaggio, ma le inchieste successive dimostrarono che la responsabilità era dovuta proprio alla mancanza di quelle procedure di sicurezza. Un risarcimento irrisorio Ma nonostante dinamica e responsabilità fossero chiare gli abitanti di Bhopal non ottennero giustizia e lottano ancora oggi a 40 anni dal disastro. Venne chiesta l'estradizione per l'amministratore delegato della Union Carbide, Warren Anderson, ma la richiesta venne respinta dagli Usa. Temendo ripercussioni sugli investimenti americani in India, il governo di Nuova Delhi non spinse più di tanto per ottenere l’estradizione. Alla fine, la multinazionale raggiunse un accordo con il governo indiano: 470 milioni di dollari. Una cifra di molto inferiore rispetto a quanto era stato chiesto, ma soprattutto ai sopravvissuti e ai familiari delle vittime arrivò solo una piccola parte: 500 dollari a testa. Una cifra che l'allora portavoce della Unione Carbide definì "adeguata per un indiano medio". Dal punto di vista penale solo nel 2010 dal tribunale indiano arrivò una sentenza: condanna per negligenza per la filiale indiana della Union Carbide e per 7 lavoratori indiani. La verità tenuta nascosta Nel 1994 la Union Carbide abbandonò, senza bonificarlo, il sito della fabbrica e venne in seguito assorbita dalla multinazionale Dow, che considerò chiuse tutte le pendenze del caso. Ma a Bhopal i bambini continuavano a nascere con malformazioni e le persone ad ammalarsi di tumore. Di fronte alle richieste della giustizia indiana di conoscere con esattezza sostanze e procedure della fabbrica, la Dow oppose sempre il segreto industriale. Solo alla fine degli anni '90 un'inchiesta di Greenpeace, che effettuò test e analisi nella zona, rivelò la quantità di metalli pesanti e sostanze tossiche presenti nell'area. Un'eredità di povertà In occasione di una recente assemblea dei soci della Dow, Amnesty International ha stilato un nuovo rapporto sulle condizioni in cui vivono gli abitanti di Bhopal. Nella sua relazione la ong ha definito Bhopal "una zona di sacrificio" creata dalle autorità americane e indiane. Le “zone di sacrificio”, spiega Amnesty, sono caratterizzate da danni catastrofici e permanenti alla salute di comunità marginalizzate causati dall’inquinamento prodotto dalle imprese. Molti bambini morirono nella notte tra il 2 e il 3 dicembre di quaranta anni fa, continua il rapporto, ma quelli che sopravvissero dovettero abbandonare studi e lavoro per prendersi cura dei genitori ammalatisi per il disastro. Quello che ha lasciato Bhopal dopo quarant'anni è un'eredità di povertà e indigenza.

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