La situazione dei migranti in Turchia (nelle strutture pagate dall'UE)

A partire dal 2015, anno in cui in Europa è scoppiata la crisi migratoria a causa della guerra civile in Siria, l’Unione europea ha versato nelle casse della Turchia circa 11 miliardi e mezzo di euro per esternalizzare la gestione dei rifugiati. Sulla carta, questi soldi servono ad aiutare la Turchia nel processo di accoglienza e protezione dei migranti, ma voci critiche da sempre accusano Bruxelles di utilizzare questo meccanismo esclusivamente per tenere i rifugiati al di fuori dei confini europei. Un’indagine condotta da Politico e Lighthouse Reports, in collaborazione con altre otto testate, ha rivelato che negli ultimi anni la Turchia avrebbe iniziato a utilizzare questi fondi non più per accogliere i migranti, ma per detenerli e deportarli in massa. La legge internazionale ed europea vieta la deportazione in Paesi ritenuti non sicuri come Siria e Afghanistan, da dove proviene gran parte dei rifugiati presenti in Turchia. Se inizialmente i rifugiati erano considerati come ospiti dai turchi, negli anni il sentimento di questi ultimi è sempre più scivolato verso una deriva anti-immigrazione, alimentata dalla crisi economica seguita alla pandemia e da una nuova ondata migratoria dopo la presa di potere dei talebani in Afghanistan nel 2021. Secondo un sondaggio dell’UNHCR , la percentuale di Turchi che riteneva i rifugiati dovessero “tornare da dove sono venuti” è passata dal 49% del 2017 all’88,5% del 2022. La politica - sia da parte del governo che dell’opposizione - ha seguito e alimentato questo sentimento, implementando politiche sempre più restrittive nei confronti dei rifugiati. Secondo l’indagine di Politico, diverse strutture finanziate dall’Unione europea inizialmente designate come centri di accoglienza sono diventate centri di detenzione ed espulsione, con il benestare di Bruxelles. Ad oggi, in Turchia ci sono almeno 32 centri di espulsione con una capacità complessiva di quasi 20mila posti, 30 dei quali sarebbero stati finanziati almeno in parte da circa 213 milioni di euro di fondi europei. Politico e le altre testate che hanno condotto l’indagine denunciano le condizioni inumane all’interno dei centri di detenzione. Secondo diversi testimoni i centri sono sovraffollati, offrono scarse condizioni igieniche, non forniscono assistenza sanitaria adeguata ed esercitano misure violente e molto restrittive nei confronti dei prigionieri. Le deportazioni, inoltre, avverrebbero in maniera forzata e illegale. Nel complesso, in più di dieci anni l’Unione europea ha speso oltre 1 miliardo di euro per finanziare centri di espulsione, infrastrutture sui confini e altri progetti per la gestione dell’immigrazione in Turchia. Soldi che potrebbero essere negati o richiesti indietro se utilizzati in maniera non consona o per finanziare attività illegali e abusi umanitari. Ma nonostante diverse testate giornalistiche, ONG ed enti governativi abbiano ripetutamente documentato le pratiche scorrette e inumane del governo turco, e l’Unione europea stessa abbia espresso preoccupazione a riguardo, i fondi non sono mai stati ritirati.