Addio a X per protesta, l'amputazione volontaria dai social

Addio a X, senza alcun pentimento, né uno straccio di rimpianto o peggio ancora, senza neppure una lacrimuccia versata dopo anni di fedeltà e di amore verso questa piattaforma che per prima in assoluto ha mostrato al mondo la potenza eversiva e rivoluzionaria dei social network. Twitter, prima che diventasse X, è stato il social che ha alimentato le più veloci e diffuse mobilitazioni di massa, è stato Twitter che ha contribuito prima e più di tutti gli altri social network a instillare nell’opinione pubblica digitale una sua coscienza politica, che ha messo in crisi regimi e stati autocratici. Eppure, nonostante questa storia di enorme facilitatore di democrazia, subito dopo la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca si sono moltiplicati gli annunci di abbandoni e di chiusure di account. L’abbandono è diventata una forma di protesta estrema contro le scelte e le posizioni politiche assunte dal suo proprietario Elon Musk, che l’ha acquistata ad aprile del 2022, e per ribadire che X è diventato oramai un ambiente “tossico”, quindi altro da quello che è sempre stato e da come la pubblicistica progressista l’ha raccontato per anni. Uscire, previo annuncio, da X è al tempo stesso sia una scelta di ribellione, ma anche di attacco implicito alla piattaforma, con l’intento – purtroppo privo di una effettiva efficacia - di provare a svuotarla dal di dentro. In attesa di capire se il contagio diventerà virale o meno, ma al momento tutto sembra deporre per una micro nicchia di aventiniani, questo dibattito fa da apripista a una riflessione diversa, più intimista ma non meno importante. Dopo aver traslocato le nostre relazioni dal mondo fisico a quello virtuale, siamo davvero pronti a privarci della socialità digitale faticosamente costruita nel tempo? Siamo davvero decisi e motivati a separarci a cuor leggero dalla nostra identità digitale, da quelle gratificazioni quotidiane che solo le notifiche e i like, riescono a darci a ripetizione, dall’approvazione pubblica che trasuda dai commenti e delle condivisioni ai nostri post? Ci preoccupano o le sottovalutiamo così tanto le possibili conseguenze emotivo-umorali che potremmo subire da una improvvisa amputazione del reticolato cognitivo che ci legittima e accompagna la nostra quotidianità? Ecco, questo è un punto sul quale c’è ancora un velo di miopia incomprensibile che ci impedisce di vedere se siamo davvero già predisposti a rinunciare al reticolato di relazioni affettive online, da X a Whatsapp, da Facebook a TikTok? “L’uomo – come ricorda Aristotele - è per sua natura un essere sociale”, quindi è prima di tutto un costruttore di relazioni, ne ha ontologicamente necessità. Nelle relazioni cresce e si afferma la nostra soggettività, trova forza la legittimazione del nostro essere e del nostro ruolo nelle comunità di appartenenza, in quella reale, ma in modo ancor più esposto in quella virtuale. Con la piattaformizzazione della società la solidità dei legami non solo non si è rarefatta o indebolita, bensì all’opposto si è trasformata diventando ancor più intensa e viscerale. Con i follower, in particolare con quelli più attivi e dispensatori di like e love, abbiamo instaurato delle relazioni così profonde che se per una ragione qualsiasi dovessero saltare un like, iniziamo a domandarci se per caso abbiamo scritto o postato qualcosa che li ha potuti offendere. Insomma, ci comportiamo come faremmo nella vita reale, ma con una differenza fondamentale: il nostro tormento non termina fino a quando non vediamo comparire o fino a quando non sentiamo il trillo della notifica che di colpo ci riporta il sereno. Ecco perchè, prima di annunciare partenze, abbandoni, chiusure improvvise e dispettose, dovremmo chiederci per un secondo se la bolla che ci cullava con le sue scariche di dopamina, ci mancherà, se la sua amputazione ci farà sentire all’improvviso più tristi, disorientati e disadattati.

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