Su Hong Kong la scure della repressione giudiziaria

A Hong Kong cala la scure della repressione giudiziaria sulle richieste dei manifestanti pro-democrazia che non accettano la stretta securitaria del governo cinese sull’ex colonia britannica. Le condanne a 45 attivisti al termine del maxi-processo simbolo del nuovo vento antidemocratico che tira nella metropoli asiatica sotto controllo cinese dal 1999 mostrano che Pechino non ha alcuna intenzione di recedere dalla sua priorità: saldare sempre più la presa su Hong Kong, annacquando di fatto il principio “un Paese, due sistemi” con cui il Porto Profumato è tornato, un quarto di secolo fa, sotto la giurisdizione cinese. Il maxi-processo e la nuova legge sulla sicurezza “Le condanne sono l'ultimo segnale di una repressione che ha colpito duramente il movimento democratico della città, trasformando i suoi leader in una generazione di prigionieri politici”, nota il New York Times, aggiungendo che “tra loro c'erano politici veterani, ex giornalisti e giovani attivisti che avevano chiesto l'autodeterminazione per Hong Kong”. La pena più dura è stata comminata ad uno degli strateghi delle manifestazioni di piazza dell’opposizione, Benny Tai, mentre Joshua Wong, volto del ‘Demosisto’principale organizzazione pro-democrazia dell’ex colonia britannica, è stato condannato a quasi 5 anni di carcere. La sentenza è un pesante macigno sulle aspirazioni democratiche e la possibilità di una pacificazione sociale nella metropoli a lungo “porta” del Paese sull’Occidente. Buona parte dei 45 condannati sono in prigione dal 2021, anno delle ultime, grandi proteste pro-democrazia, condannati ai sensi di normative sulla sicurezza nazionale inasprite nel 2020 e nel 2024 con due duri provvedimenti. Leggi, queste, che hanno segnato la rottura della Cina con la rule of law di stampo occidentale. La prima legge, scrive Ispi, “prevedeva un controllo totale del Partito comunista cinese sul “Porto profumato” e consentiva all’intelligence cinese di operare indisturbata sul territorio”. La seconda ha alzato le pene per chiunque è accusato di “sedizione”, fattispecie larghissima entro cui rientrano comportamenti di vario tipo, dalla distribuzione di manifesti pro-democrazia alla richiesta di elezioni più trasparenti. Inoltre, nei processi legati alla sicurezza nazionale, la legge permette che a nominare i giudici siano le autorità legate a Pechino, come è stato nel caso del processo che ha portato alle condanne dei 45 attivisti. La cappa della repressione Da quando la Cina ha iniziato a rafforzare il controllo su Hong Kong, centinaia di attivisti sono stati arrestati o costretti a lasciare il Paese, mentre i media indipendenti sono stati progressivamente smantellati. L’autonomia garantita dal principio "un Paese, due sistemi" – che dal 1997 aveva assicurato agli abitanti della città ex colonia britannica ampi margini di libertà civili e di espressione rispetto al resto della Cina – è stata progressivamente erosa. Questo processo ha trasformato Hong Kong, compromettendo gravemente la libertà di stampa e i diritti individuali. Il controllo del potere politico sulle persone e sulla loro possibilità di esprimersi è stato reso palese in un contesto in cui giornali storici come Stand News sono stati chiusi per aver mostrato la corruzione del potere politico locale. Il tutto in un contesto in cui un semplice post sui social può portare a una condanna a mesi di carcere e rivendicare libertà per Hong Kong rischia di aprire la strada a lunghe pene detentive. Il senso delle condanne è chiaro: mostrare il peso della nuova legislazione e, soprattutto, la capacità della Cina di punire ogni deviazione dal dominio politico del Partito Comunista Cinese. Da “un Paese, due sistemi” a “una sola Cina” il passo è breve per Pechino, ma drastico per Hong Kong. La repressione sembra aver disarticolato la capacità di resistenza dell’opposizione, che dopo anni di proteste non è più tornata in piazza. Installando uno Stato di polizia, la Cina ha forse piegato il Porto Profumato. Al prezzo, però, di demolire per sempre l’eccezione di Hong Kong e del suo successo economico come hub finanziario e di libertà economica, che difficilmente potrà resistere al lungo inverno democratico che si profila.

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