Meno repubblicana e più trumpiana, la nuova amministrazione Usa prende forma

Il Trump 2.0 prende forma e tra i membri del Partito Repubblicano che il presidente eletto vaglia e scrutina per le posizioni chiave emerge un filo conduttore: a prescindere dalle idee, i designati per le posizioni apicali devono essere suoi fedelissimi. Un’amministrazione trumpiana, prima ancora che repubblicana: se nel 2017 le nomine della prima amministrazione avevano incluso diversi esponenti del tradizionale Partito Repubblicano, in questo caso abbondano gli esponenti del movimento radicale e MAGA, i portavoce delle battaglie identitarie di Trump, i seguaci leali. Una prima svolta si è avuta con la scelta di Susie Wiles, co-direttrice della campagna elettorale di Trump, nel ruolo di Chief of Staff della Casa Bianca, posizione occupata da quattro diversi esponenti “bruciati” da Trump nel suo precedente mandato al governo. Wiles è stata orecchie e occhi di Trump nella corsa alla Casa Bianca, dovrà gestire un apparato presidenziale che il comandante in capo che si insedierà dopo il 20 gennaio vorrà pienamente fedele a sé. E al contempo, se saranno confermati dal Senato a maggioranza repubblicana, entreranno nella stanza dei bottoni molti fedelissimi di Trump che ne hanno sostenuto diverse posizioni, spesso radicali ed estremiste, sui temi-bandiera del candidato repubblicano alle presidenziali vinte contro Kamala Harris. I fedelissimi per blindare l’agenda interna Il vice di Wiles sarà Stephen Miller, scelto da Trump per coordinare l’attuazione delle politiche dell’amministrazione. Nel suo operato sarà particolare l’attenzione alla questione del contrasto all’ingresso dei migranti dal confine messicano e, soprattutto, alla deportazione degli illegal aliens, bersaglio numero uno della retorica trumpiana, che rappresenta un suo cavallo di battaglia. Miller, che nell’ormai famigerato comizio al Madison Square Garden di New York ha dichiarato che “l’America è per gli americani e solo per gli americani”, affiancherà il nuovo “zar del confine” Tom Homan: l’uomo scelto da Trump per realizzare nel concreto le draconiane politiche sul contrasto all’immigrazione irregolare e sulla potenziale deportazione di milioni di persone. Trump intende blindare il fronte interno e dare attuazione alle politiche sull’immigrazione decisive per il suo successo elettorale. L’amministrazione virerà ancor più a destra e verso una visione del mondo propria del populismo Maga se fosse confermata la nomina, anticipata dalla Cnn, di Kristi Noem, governatrice del Sud Dakota ed eroina del movimento MAGA, a capo del Dipartimento per la Sicurezza Interna, che supervisiona le forze di polizia. Waltz e Rubio, falchi per la politica globale Sul solco del sostegno alla promozione dei fedelissimi anche le scelte politiche per l’agenda internazionale. Se fossero confermati, i due nomi di punta di cui si parla in questi giorni imporrebbero l’agenda trumpiana anche sulla proiezione geopolitica di Washington. Il deputato della Florida Mike Waltz, ex membro delle Forze Speciali, sembra destinato a ricoprire il ruolo di Consigliere per la Sicurezza Nazionale nell’amministrazione Trump. In questo incarico di notevole peso, che non richiede conferma da parte del Senato, Waltz si occuperebbe di fornire aggiornamenti strategici al presidente su questioni di sicurezza nazionale e di lavorare in stretta collaborazione con diverse agenzie di intelligence. Waltz è un “falco” sul fronte del contrasto alla Cina, indicata come principale minaccia alla sicurezza nazionale statunitense. Stessa visione del senatore della Florida Marco Rubio, che è dato in dirittura di nomina come Segretario di Stato. Rubio ritiene che Washington debba contenere con ogni mezzo avversari come Cina, Iran e Cuba, ma ha posizioni coerenti con Trump sulla guerra in Ucraina, dove ritiene che l’impegno americano debba ridimensionarsi. Finora le nomine di Tump “dimostrano il 2024 non è il 2016 - nota Mario Del Pero – e che non c’è più un establishment repubblicano pronto a mettere Trump sotto tutela”. Il Grand Old Party è stato soppiantato in tutto e per tutto dal trumpismo più estremista che ha imposto una netta svolta a destra. Ne consegue, secondo Del Pero, la prospettiva di una prossima amministrazione “assai più omogenea, disciplinata e, presumibilmente, efficace e radicale della prima di Trump”. Con tutte le conseguenze che ciò può comportare per gli equilibri interni degli Usa e gli scenari globali che attendono le mosse dell’amministrazione più a destra della storia moderna americana.