Negli Stati Uniti si soffre “l’ansia da voto”: perché in Italia no?

Gli americani hanno avuto un giorno per digerire il risultato delle elezioni e, forse solo adesso, sono riusciti a smaltire l’ansia della vigilia. “Impauriti e angosciati”, così si sono definiti ai microfoni del New York Times, rivelando preoccupazioni su eventuali violenze all’indomani dello spoglio, sull’inasprirsi dello scenario politico nazionale o banalmente sulle reazioni dei vicini di casa. “Parliamo sottovoce”, confessano alcuni. “L’attesa ci dà mal di stomaco”, raccontano altri. Perciò, indossando i berretti del proprio candidato o candidata, si sono riversati nelle piazze e nei pub per assistere allo spoglio. Stato per Stato fino alla vittoria, attesa con speranza o timore, di Donald Trump. E in Italia? L’ansia da voto, forse, non si misura in numeri. Ma di pub o circoli affollati da elettori angosciati dallo spoglio non se ne ricordano da anni. “Cercando 'ansia da voto in Italia', i motori di ricerca parlano di valutazioni scolastiche. È buffo”, commenta Carlo Galimberti, professore ordinario di Psicologia sociale della comunicazione all’Università Cattolica di Milano. Che ha tentato, per Sky tg24 Insider, di ragionare sui motivi di una disaffezione apparentemente più radicata in Italia che negli States. Professore, è una questione di “corsa” elettorale? Le nostre sono meno interessanti? Devo dire che, personalmente, a un certo punto non ne potevo più. Negli ultimi giorni, all’ennesimo dibattito sulla partita elettorale americana, ho ridotto l’intensità dell’ascolto. Ma si capisce perché, tra gli statunitensi, possa aver generato reazioni forti: la posta in gioco era molto alta. E poi, ricordiamolo, questa è la quinta elezione in cui i candidati hanno usato i social media. Intende dire che i social hanno alimentato angosce nell’elettorato? I social media amplificano i sentimenti estremizzandoli, a prescindere dall’ambito di discussione. Quindi, figuriamoci se questa cosa viene applicata alle elezioni politiche che, di per sé, sono fonte di tensione e ansia. Anche in Italia, però, da anni i politici usano tutte le piattaforme social. Perché il risultato non è lo stesso? In generale, noto che in Italia i social media vengono spesso utilizzati con funzione satirico-umoristica. A destra, a sinistra e al centro c’è questa tendenza a mitigare l’aggressività sui social nella maggior parte dei casi. Fanno eccezione alcuni politici specializzati nell’attacco dell’avversario, ma generalmente se ne fa un uso diverso dagli Stati Uniti. Ma non è solo una faccenda digitale: abbiamo visto migliaia di sostenitori di Trump e Harris radunati nelle piazze e nei locali americani. Perché queste immagini non si ripetono in Italia? Da decenni, la nostra comunicazione sociale riguardo alle elezioni è più informale che formale. Ne parliamo, di fatto, nei contesti privati: in famiglia o con gli amici. Difficile pensare di assistere oggi alle discussioni che animavano un tempo le sedi dei partiti o delle associazioni. E negli Stati Uniti non è così? Negli Stati Uniti la cultura politica sembra essersi strutturata in riferimento a esperienze storiche differenti da quelle che hanno caratterizzato la recente storia italiana. C’è un’enfasi sull’attivismo e sul valore dell’impegno civico maggiore. È per questo che, al di là dell’ansia, fra gli elettori italiani non è molto diffuso il “tifo” elettorale? È anche una questione di marketing politico, che negli Stati Uniti è più aggressivo. E di polarizzazione, più esasperata fra gli americani. Da noi, a partire dal sistema elettorale, si nota una maggiore frammentazione: esistono centrodestra e centrosinistra, ma non è favorita la formazione di blocchi. Negli Stati Uniti tutto sembra favorire la suspense, basti pensare all’attenzione con cui si guarda agli esiti dei cosiddetti “Swing States”. Ricordiamoci quanto è successo fra Bush e Gore. Anche solo questo basterebbe per giustificare quanto affermato nell’articolo del New York Times. "Più in ansia per gli Usa che per le nostre elezioni", l'esempio ligure I più freschi di voto, in Italia, sono i cittadini liguri. Alle regionali di ottobre l’affluenza è crollata al 45%, ma il disinteresse verso le elezioni pare aver contagiato anche molti votanti. “Sono andata a votare per un cambiamento ma non saprei se possa aver avuto un impatto – confessa Serena, 23 anni – Certamente non ho avuto ansia nei giorni precedenti al voto”. Per Davide, 22enne di Camogli, andare a votare è stato solo un “dovere civico”, ma le elezioni che contano sono altre: “quelle americane, che impattano sui mercati finanziari” oppure le comunali, che “cambiano più da vicino la mia vita”. E con l’avanzare dell’età, la disillusione apparentemente non fa che radicarsi: “Vado a votare sempre perché mi hanno insegnato così, ma non mi sento rappresentata dai partiti italiani e mi coinvolgono molto di più le elezioni americane”, racconta Valentina, 52 anni, dalla provincia di Genova. Professore, molti cittadini liguri ci hanno ripetuto di essere più interessati alle elezioni americane che alle proprie. È un sintomo preoccupante? Non credo sia solo un sentimento dell’elettore ligure. La disillusione e il disinganno sono prevalenti come spirito del tempo. Se più del 50% sono astenuti, significa che si tratta di elettori distaccati o che comunque ritengono che l’espressione del voto non sia molto importante per il proprio futuro. Come possono essere in ansia per le elezioni questi cittadini? Altri ci hanno parlato, invece, di “educazione civica”. Il voto, per chi lo esprime in Italia, è solo un dovere? Stiamo parlando di consapevolezza. È mia esperienza personale, lavorando con i giovani in Università, il fatto che spesso si smarriscano di fronte a questioni che hanno a che fare con la dimensione politica, evidenziando carenze conoscitive figlie sia del disinteresse per la politica sia della carenza di educazione civica. Penso, ad esempio, alla difficoltà di capire chi indichi la locuzione “Palazzo Chigi”, che pure è spesso utilizzata dai media quando parlano di politica interna. Non è così anche negli Stati Uniti? La differenza è che, se in Italia la polarizzazione è parte del gioco, negli Stati Uniti la polarizzazione è il gioco.

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