Filippine, Duterte rivendica la guerra al narcotraffico

Rodrigo Duterte andrà alla sbarra dopo aver rivendicato la sua “guerra alla droga”? L’ex presidente filippino ha testimoniato di fronte al Senato di Manila circa la strategia di repressione brutale del narcotraffico messa in atto dal suo governo quando era da capo dello Stato e sindaco di Davao . Duterte, 79 anni, ha rivendicato la “piena responsabilità legale” per la campagna di esecuzioni extragiudiziali da parte di forze di polizia e vigilantes condotta contro sospetti trafficanti di droga, oggetto di un’indagine della Corte Penale Internazionale. Secondo i calcoli più attendibili, tra il 2016 e il 2022 nelle Filippine circa 6mila sospetti - coinvolti in operazioni di traffico di stupefacenti o nel loro consumo - sarebbero stati uccisi dalle forze dell’ordine. A questi vanno aggiunti oltre 20mila civili non direttamente responsabili e spesso vittime di agguati, fuoco incrociato, scambi di persone. Un bilancio a cui si somma l’incerto computo di coloro che sono stati assassinati da gruppi come la Squadra della Morte di Davao quando Duterte era sindaco. Squadroni della morte e uccisioni, la ricetta di Duterte contro le droghe Il “modello Davao” prevedeva un pagamento in denaro per ogni operazione extragiudiziale, una caccia all’uomo spietata e il prevalere della volontà di eliminare sospetti e presunti complici su quella di ricostruire, con indagini e processi, le reti di accesso della droga al Paese e i trend di consumo. Un approccio law and order dai contorni spregiudicati che ha nutrito i consensi di Duterte per anni. Quando la Camera dei Rappresentanti ha aperto un’indagine sulla guerra alla droga nel giugno scorso Duterte si è rifiutato di testimoniare. Lo ha fatto ora in Senato. L’ex capo dello Stato non ha cercato di ridimensionare i fatti. Ha sottolineato di aver agito nell’unico modo necessario per contenere la piaga degli abusi di stupefacenti. "Vi ho avvertiti tutti come presidente allora e come privato cittadino ora", ha detto, ricordando quanto detto ai tempi dell’insediamento presidenziale: "La droga distruggerà i filippini, distruggerà il mio Paese, e io non lo permetterò". Duterte, inoltre, ha sottolineato il peso politico dell’investigazione che lo riguarda, sottolineando che rientra nel quadro della rivalità del suo successore e attuale presidente Ferdinando Marcos Jr. nei suoi confronti. In quella che Duterte descrive come un’inchiesta politicamente motivata avrebbe pesato anche il ruolo politico di sua figlia Sara. Quest’ultima infatti si è dimessa da Ministro dell’Istruzione a giugno dopo essere entrata in rotta di collisione con Marcos Jr. e aver accusato il suo staff di volerla danneggiarla politicamente. Per Duterte senior c’è una palese corrispondenza tra la rottura politica tra la figlia e il presidente e l’apertura del dossier sulla guerra al narcotraffico. Dalla guerra alla droga alla guerra politica Finora Marcos non aveva mai disconosciuto la guerra alla droga del predecessore, dichiarando anzi di volerla proseguire “alla propria maniera”, e aveva difeso Duterte dalle accuse del Tribunale Penale Internazionale che chiedeva di indagare sugli abusi. Di recente, però, il presidente ha consentito agli investigatori della corte di entrare nelle Filippine per raccogliere prove. Il New York Times ha sottolineato che a motivare la scelta di Duterte di parlare al Senato e non alla Camera potrebbe esservi proprio la volontà di intervenire in un’aula dove siedono figure a lui vicine e che nel suo mandato hanno ricoperto incarichi di responsabilità, come il senatore Ronald Dela Rosa, che ha ricoperto l’incarico di capo della Polizia nell’era Duterte. È presto per dire se oltre all’indagine internazionale le ammissioni di Duterte produrranno anche conseguenze giudiziarie. Il presidente della Commissione per i diritti umani della Camera Bienvenido Abante ha detto che Duterte è passibile di accuse per “crimini contro l’umanità” anche in patria. Nel quadro della guerra tra le due dinastie politiche, quella Duterte e quella Marcos, l’apertura del processo all’ex presidente riapre ferite mai chiuse nella società filippina. Una storia di abusi di potere e violenza che hanno contribuito a indebolire la credibilità delle istituzoni agli occhi della società filippina senza, per questo, sradicare minacce sociali ancora presenti.