Turchia, Ocalan e il Pkk verso la fine della lotta armata?

Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan è pronto a dichiarare la fine della lotta armata? Le recenti aperture del leader incarcerato della formazione marxista che si batte per l’indipendenza delle aree curde della Turchia, Abdullah Ocalan, hanno riaperto il dibattito sul futuro dell’organizzazione. Ma, al contempo, l’attentato compiuto da due terroristi curdi alla sede della Turkish Aerospace Industries vicino Ankara, in cui mercoledì sono morte 5 persone, e l’avvio di raid da parte di Ankara contro le postazioni del Pkk in Siria e Iraq, mostrano che ogni svolta prima di concretizzarsi dovrà affrontare ostacoli notevoli. Dal carcere di massima sicurezza dove è detenuto dal 1999, Ocalan ha fatto filtrare l'ipotesi della fine della lotta armata del Pkk e del passaggio alla "lotta democratica" a seguito dell'apertura del leader del Partito del Movimento Nazionalista Devlet Bahceli, alleato al governo del presidente Recep Tayyip Erdogan, che ha proposto al 76enne comandante la libertà vigilata in cambio della fine delle violenze. Ocalan e Pkk, sempre divisivi Una volta di più, Ocalan e il Pkk dividono e fanno discutere. In passato di loro si è detto e scritto di tutto: terroristi intenti a minare la stabilità della Turchia, ribelli fuorilegge e de-stabilizzatori della regione per i loro nemici, che formalmente oltre ad Ankara includono Stati e organizzazioni che riconoscono il Pkk come gruppo terroristico . Un’immagine che confligge con quella che di Ocalan e dei combattenti del Pkk danno i loro sostenitori,: combattenti libertari, emancipatori di un popolo, portatori di un’utopia ideologica, il confederalismo democratico, che unisce ecologismo, emancipazione femminile, tutela delle libertà individuali e progressismo nel cuore del Medio Oriente. Denunciando l’oppressione turca contro il popolo curdo, abitante nell’Est dell’Anatolia, Ocalan e il Pkk presero le armi nel 1984 dopo la condanna a morte di 90 militanti, dando vita a una guerriglia che tra combattimenti aperti, attentati e repressioni delle forze armate di Ankara ha causato 40mila morti. Un conflitto, quello tra Turchia e Pkk, che negli anni si è sovrapposto alle grandi dinamiche geopolitiche dell’area mediorientale: il Pkk ha subito, su questo fronte, l’ostilità dei “fratelli” del Kurdistan iracheno, che spesso hanno collaborato con Ankara a contenerli e Ocalan ha potuto invece trovare maggior ascolto in Siria, tanto dal governo della famiglia Assad quanto dai curdi del Rojava, le cui organizzazioni politico-militanti sono strettamente legate a quelle del Pkk. Manovre e tatticismi La causa dei curdi di Turchia si è intrecciata con le rivalità geopolitiche della Repubblica anatolica, che hanno portato il Pkk a diventare spesso alleato e strumento di proiezione delle potenze interessate a indebolire politicamente Ankara e dopo l’arresto del 1999 del leader incarcerato i guerriglieri non hanno deposto le armi. Dopo l’ascesa al potere di Recep Tayyip Erdogan i rapporti tra Turchia e Pkk hanno vissuto fasi di aperta conflittualità intervallate da negoziati di pace, i più intensi dei quali si sono svolti tra il 2013 e il 2015. Ad avviare il dialogo fu, dal carcere, Ocalan che nel 2006 aprì per la prima volta all’ipotesi della fine della lotta armata, ritenuta logorante per entrambe le parti e non funzionale sul lungo periodo alla liberazione dei curdi. Gli attacchi di Ankara mostrano che frange oltranziste del Pkk sono disposte a non mollare sul fronte della conflittualità con la Turchia, e anche che non tutti i combattenti condividono la svolta ideologica maturata negli anni da Ocalan in prigione. Al contempo, dimostra la grande capacità trasformista del governo di Ankara, che alla volontà di risolvere una crisi pluridecennale unisce, nella sua apertura a Ocalan, un fine politico preciso: il governo, riporta Euronews, “starebbe cercando il sostegno del Partito per l'uguaglianza e la democrazia dei popoli ”, principale formazione filo-curda del Paese e terzo per seggi all’Assemblea Nazionale, “per far passare una riforma costituzionale che rompa il vincolo per Erdogan, impossibilitato a candidarsi a un terzo mandato alla presidenza”. Dem da tempo chiede alleviamenti alle dure condizioni di prigionia di Ocalan, e l’apertura espressa da Bahceli potrebbe andare nella direzione dell’avvio di un dialogo politico in cui grandi questioni storiche e tattiche contingenti si sommano. Tutto questo mentre nessuna strada appare tracciata a priori: i fatti dei giorni scorsi ci raccontano che qualsiasi passo verso l’intesa turco-curda porterà con sé rischi e possibili eventi traumatici come i recenti attentati. Non potrebbe essere diversamente quando si tratta di concludere un conflitto che, nelle sue varie fasi, dura da 40 anni.

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