L'uragano Oscar scopre le crisi di Cuba e il Paese si spenge

Il blackout nazionale, una crisi economica senza fine, un uragano durissimo: Cuba è in ginocchio e il risveglio delle proteste pubbliche mostra il malcontento dei cittadini del Paese caraibico per le ristrettezze con cui si confrontano ogni giorno. L’impatto dell’Uragano Oscar sulle coste orientali del Paese e quattro giorni costellati da massicce interruzioni della fornitura di elettricità hanno spinto i cittadini a scendere in piazza. Nella notte tra il 20 e il 21 ottobre a animare le proteste, in particolare, è stato Santo Suárez, barrio estremamente popolato della periferia sud-ovest di L’Avana. Nella capitale è andata in scena una cacerolada, una massiccia manifestazione tipica dell’America Latina in cui i cittadini hanno protestato sbattendo con forza padelle e pentole. Dopo alcuni guasti a settembre, ottobre è stato il mese della privazione dell’energia per Cuba, una situazione vissuta con rabbia dalla popolazione. Il combinato disposto tra l’alta domanda di energia per refrigerazione domestica e attività di botteghe e piccole e medie imprese, i disagi climatici, la carenza di carburante e il blocco di alcuni impianti di generazione ha prodotto il crollo del sistema energetico poco manutenuto del Paese. L'ottobre nero di Cuba Il Christian Science Monitor ha realizzato un ampio reportage su Cuba segnalando che “il guasto della centrale Antonio Guiteras del 18 ottobre, che ha causato il collasso dell'intero sistema dell'isola, è stato solo l'ultimo di una serie di problemi con la distribuzione di energia in un Paese in cui l'elettricità è stata limitata e distribuita a diverse regioni in orari diversi della giornata”. Per i cubani “l'impatto del blackout va oltre l'illuminazione, poiché anche servizi come l'approvvigionamento idrico dipendono dall'elettricità per far funzionare le pompe”. A partire dal 21 ottobre, l’elettricità è tornata gradualmente in alcune aree della capitale, ma oggigiorno si stima che Cuba possa generare quotidianamente tra 370 e 500 megawatt di elettricità a fronte di una necessità giornaliera di 3 gigawatt. Il governo del presidente Manuel Diaz-Canel, successore dei fratelli Fidel e Raul Castro, ha ordinato misure di risparmio energetico emergenziali: stop alle lezioni universitarie e agli eventi pubblici; contenimento all'illuminazione pubblica in molte città; avviamento di misure di razionamento idrico. Il malcontento, però, serpeggia e il regime comunista che governa Cuba dal 1959 si trova di fronte a una delle fasi più critiche degli ultimi anni: l’embargo statunitense morde duramente, beni come il petrolio sono limitati a causa delle sanzioni e a ciò si aggiunge un deperimento infrastrutturale continuo. Come ha ricordato il New York Times, “le centrali elettriche cubane hanno quasi mezzo secolo e il governo ha rimandato importanti interventi di manutenzione e ammodernamento, lasciando la rete elettrica a fare affidamento su infrastrutture decrepite, obsolete e inaffidabili”. La crisi economica che l’isola vive dai tempi della pandemia di Covid-19 non aiuta, e l’impatto dell’uragano Oscar su Cuba ha messo duramente alla prova la sicurezza della popolazione, ponendo dubbi sulla capacità del governo di garantire stabilità. Crisi economica, crollo demografico Le proteste sono state le più ampie dal 2021, anno in cui il Covid-19 e ulteriori interruzioni energetiche esacerbarono lo scontento tra i cittadini. Da allora in avanti, la situazione di Cuba è rimasta precaria: nel contempo, dall’isola caraibica è fuggito un milione di persone nel 2022-2023, portando emigrazione di un abitante su dieci in uno dei più imponenti esodi della storia contemporanea. Cuba ha perso dunque un milione di abitanti, passando da 11 a 10 milioni di residenti, e nel frattempo lo Stato, fiaccato dall’inflazione, dalle minori entrate fiscali e dalla debolezza di un’economia che vive essenzialmente di turismo, rischia la bancarotta, con il governo che fatica a effettuare i pagamenti dei dipendenti pubblici. A peggiorare la situazione il fatto che Cuba oggi prova difficoltà a cercare un partner straniero come “patrono”. Il ruolo che in passato fu dell’Unione Sovietica e poi del Venezuela, sponsor e alleati della rivoluzione castrista, è oggi vacante e le speranze di L’Avana di un sostegno da parte della Cina, intenta a proiettarsi in America Latina, non si stanno concretizzando. Anzi, proprio in virtù della crisi economica, nota il Financial Times, Pechino sarebbe disinteressata ad aiutare un Paese formalmente governato da una formazione sorella del Partito Comunista Cinese. Cuba affronta dunque questa crisi potendo contare essenzialmente solo su sé stessa. E i mesi a venire metteranno alla prova la capacità del governo di rispondere alle crisi sistemiche che il Paese vive. E dunque di garantirsi la sua stessa continuità in un contesto sempre più precario.