Moldavia, passa il referendum europeista, ma il Paese si spacca

Maia Sandu è al contempo la vincitrice e la sconfitta del voto politico in Moldavia che ha unito presidenziali e un referendum sul percorso di avvicinamento all’Ue nella giornata di domenica. Vincitrice, perché il capo di Stato uscente di Chisinau ha sfiorato il 42% dei consensi al primo turno delle presidenziali e ha visto il referendum, che portava i moldavi a votare sull’inserimento in Costituzione dell’impegno del Paese a accelerare il processo di integrazione europea, passare da una prevalenza dei No a un esiguo Sì. Al contempo, per Sandu questi risultati hanno mostrato tutte le fragilità di un paese sempre più lacerato tra due sfere di influenza: quella russa da un lato e quella europea dall’altro. Il candidato del Partito dei Socialisti, euroscettico e filorusso, Alexandr Stoianoglo, ha ottenuto molti più consensi del previsto, e ora Maia Sandu dovrà vedersela con lui al ballottaggio. Inoltre, il referendum è passato solo per 6mila voti, grazie al contributo decisivo degli elettori all’estero. Dal voto Sandu è dunque uscita indebolita non solo nei consensi, ma anche dalla constatazione che la piccola nazione di 2,5 milioni di abitanti è pericolosamente polarizzata su questioni centrali per il futuro del Paese. Le faglie della Moldavia Proprio in questo contesto polarizzato hanno avuto difficoltà a fare breccia le posizioni politiche di Sandu, che si è trovata a dover governare un Paese diviso anche sul piano elettorale. In primo luogo, la grande divisione tra una capitale, Chisinau, fortemente europeista e una periferia dove molto più sentiti sono i legami del Paese con la Federazione Russa, retaggio dell’era sovietica, e i timori per le conseguenze che l’ingresso nell’Ue potrebbe comportare: dall’emigrazione di massa allo spettro dell’Unirea, il processo di aggregazione alla Romania che la frangia più nazionalista della popolazione identifica come esito più probabile dell’ingresso nell’Ue. Risulta indicativo, a tal proposito, notare come oltre alla circoscrizione estera solo nove distretti elettorali su 36 totali abbiano visto la vittoria del “Si” al referendum europeista. In secondo luogo, pesano sulla Moldavia faglie identitarie e problematiche legate alla complessa situazione interna del Paese, che oltre alla nota questione della Transnistria separatista deve fare i conti con la Gagauzia, regione abitata da una minoranza turca di etnia, russofila di vocazione politica, fortemente ortodossa e autonomista. In Gagauzia solo il 5% dei votanti ha approvato la decisione di incidere nella costituzione l’europeismo, ed è chiaro che uno strappo politico di questo tipo appaia difficile, potenzialmente, da rimarginare. Infine, Sandu ha denunciato un tentativo massiccio di interferenza esterna nel voto, accusando la Federazione Russa di aver interesse a condizionare l’esito delle elezioni. Il governo moldavo sostiene di avere prove inconfutabili di una “frode senza precedenti” che avrebbe riguardato oltre 300mila voti: accusa che si inserisce in un crescendo di accuse tra Chisinau e Mosca circa l’attività di agenti russi per operazioni di “guerra ibrida” e disinformazione nel Paese. Una "manina" russa? La Moldavia sta operando un giro di vite sullo spionaggio russo e di recente ha fatto scalpore la degradazione di Igor Gorgan, generale nonché ex Capo di Stato Maggiore del Paese, privato del rango di generale per le accuse di spionaggio a favore della Russia. Un monito circa la volontà di Chisinau di non permettere più casi di infiltrazione del genere. Sicuramente la Russia ha tutto l’interesse a condizionare la Moldavia e a tenere in bilico il Paese su cui, complice il secessionismo della Transnistria abitata a maggioranza da persone di etnia russa, le mire di Mosca non sono secondarie, e un suo ruolo tutt’altro che marginale nel fomentare le divisioni nella nazione ex-sovieticaè più che plausibile. Ma sarebbe riduttivo imputare alla sola disinformazione di Mosca la spaccatura del Paese emersa dal voto di domenica. La Moldavia è un Paese conteso in un’Europa orientale sempre più polarizzata. E la difficoltà che la scommessa di Maia Sandu di fare dell’europeismo più rigoroso un fattore unificante per l’ex Repubblica sovietica testimonia quanto questa divisione regionale abbia un impatto pesante sui Paesi più fragili dell’area.