Fetullah Gulen, la parabola politica e religiosa della nemesi di Erdogan

Fetullah Gulen è morto: il predicatore e intellettuale islamista turco è scomparso all’età di 83 anni a Saylorsburg, Pennsylvania, Stato degli Usa in cui risiedeva da quando aveva lasciato il Paese in esilio volontario nel 1999. Con Gulen scompare la “nemesi” di Recep Tayyip Erdogan, di cui era stato primo attivo sostenitore dell’ascesa politica e poi acerrimo rivale. Gulen ed Erdogan, con il loro dualismo, hanno incarnato le diverse visioni dell’Islam politico nel Paese euroasiatico: il movimento Hizmet fondato nel 1969 dal primo e diventato negli anni una vera e propria potenza, incentrato su una visione islamista aperta a principi liberaldemocratici e di mercato da un lato; il Partito Giustizia e Sviluppo del presidente, islamista e conservatore, dall’altro. Il dualismo con Erdogan è stato il punto di massima complessità e difficoltà dell’agenda politica e teologica dell’Imam nato a Erzurum, nell'Anatolia centro-orientale, nel 1941, studioso del Corano e a lungo predicatore, autore di oltre 60 libri in cui ha affrontato riflessioni attente sul ruolo dell'Islam politico nelle società moderne e provato a far convivere con il superamento del laicismo della Repubblica fondata da Ataturk una rilettura in chiave islamica del nazionalismo turco preponderante in diversi strati della società. Un sistema di idee e valori che ha animato per decenni Hizmet, trasformandolo in una vera e propria forza di potere in Turchia con l’avvento al potere di Erdogan. Gulen, predicatore e politico Per anni, nel primo decennio del secolo, Akp e gulenisti sono stati alleati di fatto per contenere il peso politico dell’élite laicista ispirata all’ideologia di Mustafa Kemal Ataturk, padre della Turchia contemporanea. Erdogan e i suoi fedeli e i gulenisti costruirono, dopo l’ascesa al potere dell’Akp nel 2003, due “Stati paralleli” con aderenti in tutti i gangli del potere nazionale turco: magistratura, accademia, esercito, alte sfere della funzione pubblica, mondo dell’informazione, servizi segreti. I conservatori vicini all’attuale presidente sfruttarono a loro favore la potenza economica dei gulenisti, la rete di scuole, cliniche, madrase controllate da Hizmet e da Gulen nel Paese, servendosene come cassa di risonanza per la loro visione politico-ideologica; i secondi, invece, trovarono nell’ascesa di una formazione legata all’Islam politico l’occasione per rompere contrasti durati decenni con l’élite di Ankara. Il rapporto funzionò per alcuni anni, poi si ruppe traumaticamente. La rottura Gulen-Erdogan A partire dal 2011, quando il progetto accentratore di Erodgan, culminato nella riforma costituzionale presidenzialista, ha iniziato a manifestarsi, le fazioni vicine a Gulen sono state profondamente colpite dai tribunali e dalle forze di sicurezza turche. Negli anni è iniziato un lungo braccio di ferro: Erdogan ha accusato la magistratura vicina a Gulen di aver interferito con l’operato del Mit, il controspionaggio turco, per presunte irregolarità nella ricerca di accordi con i guerriglieri curdi del Pkk nel 2012; ha denunciato un presunto “golpe giudiziario” delle toghe facenti parte di Hizmet nel 2013, anno di una serie di indagini per corruzione contro i membri del suo esecutivo ritenute motivate politicamente; l’anno successivo ha imposto la chiusura del popolare quotidiano Zaman, vicino ai gulenisti. Punto d'arrivo dello scontro è stato il fallito golpe anti-Erdogan del 2016, della cui realizzazione il governo di Ankara ha sempre accusato proprio l'esiliato Gulen, ricercato per terrorismo fino all'ultimo giorno della sua vita e privato della cittadinanza turca nel 2017. La risposta al golpe si è sostanziata in un repulisti generalizzato di tutto il sistema politico e amministrativo riconducibile a Gulen nel Paese: 100mila arresti, 150mila dipendenti pubblici licenziati e 8mila militari processati per aver sostenuto a vario titolo il progetto golpista danno la misura della portata della purga che ha sancito l’eradicazione del sistema gulenista dai gangli vitali dello Stato turco. Gli ultimi anni della vita di Gulen, dopo l’offensiva erdoganiana, sono stati vissuti sostanzialmente in silenzio, eccezion fatta per alcune denunce per il declino autoritario del Paese d’origine del predicatore. La sua corsa per fermare l’erdoganismo è stata fermata dall’ambizione dell’ex alleato, il quale non ha però ottenuto mai l’estradizione del ricercato imam da parte delle amministrazioni Obama, Trump e Biden. Gulen lascia oggigiorno in eredità un sistema ancora forte di una vasta rete educazionale, caritatevole e assistenziale nel mondo islamico, il cui peso politico è però drasticamente ridotto in patria. Delle due visioni di Islam politico, ha prevalso quella conservatrice di Erdogan. E se ieri a esser divisi erano i campi degli oppositori al laicismo kemalista, oggi è la Turchia a essere spaccata attorno alla figura del presidente, la cui visione sempre più conservatrice dell’islamismo politico ha prevalso, stravolgendo i rapporti di forza nello Stato turco anche per l’accentramento autoritario seguito alla repressione delle forze legate a Gulen negli apparati di potere.

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