La COP29 fa discutere prima ancora di iniziare

A oltre tre settimane dalla sua apertura la COP29 fa già discutere. La conferenza mondiale sul clima che nell’edizione di quest’anno si terrà a Baku, capitale dell’Azerbaijan, dall’11 al 22 novembre parte infatti in un clima di grande incertezza, e non solo per le battute di arresto nel contrasto e mitigazione dei cambiamenti climatici su scala globale. A sollevare critiche è soprattutto l’opportunità di organizzare - per la terza volta consecutiva - il summit in un Paese guidato da un regime autoritario, repressivo sul fronte delle libertà fondamentali e importante esportatore di compustibili fossili. Dopo i summit in Egitto e negli Emirati Arabi Uniti ora tocca all’Azerbaijan di Ilham Aliyev: spesso indicato come un importante fornitore di gas e petrolio alternativo alla Russia per l’Europa, il Paese ex sovietico ha di recente richiesto l’ingresso dei Brics. Inoltre, con due campagne di terra tra il 2020 e il 2023, Baku ha risolto manu militari l’annoso contenzioso con l’Armenia sulla regione contesa del Nagorno-Karabakh invadendo l’area e sfollando centinaia di migliaia di persone. I fautori dello svolgimento di summit in Stati come l’Azerbaijan sottolineano, ricorda il Financial Times, che l’obiettivo sia responsabilizzare questi Paesi verso la sfida globale dei cambiamenti climatici: “Per garantire che i Paesi in via di sviluppo, e in effetti i produttori di combustibili fossili, facciano parte di una soluzione globale al cambiamento climatico, è importante che possano farsi carico delle COP” osserva il quotidiano. Sul fronte dei diritti, la speranza è che ospitare eventi globali possa accendere i riflettori sui problemi interni, favorendo il dibattito sul tema. Questo, però non sembra essere il caso dell’Azerbaijan. Le accuse a Baku Le organizzazioni per i diritti umani denunciano che almeno 300 oppositori sono detenuti nelle carceri del Paese e Human’s Right Watch ha contestato la "feroce" repressione dei critici, dei media ostili al regime, che denunciano come la COP29 aumenti il rischio che l’Azerbaijan usi il greenwashing come strumento di promozione della sua immagine a livello internazionale. Hrw assieme a Freedom Now ha chiesto all’Unione Europea di sostenere il rilascio dei prigionieri "detenuti arbitrariamente" in Azerbaijan, denunciando accuse fabbricate ad arte contro gli attivisti che lottano per i diritti: le organizzazioni “affrontano anche una serie di altre accuse penali, tra cui denunce arbitrarie per imprenditoria illegale, riciclaggio di denaro, falsificazione di documenti ed evasione fiscale” osserva l’organizzazione. L’Azerbaijan potrebbe segnare un punto a suo favore se fosse confermato quanto dichiarato dal presidente armeno Vahagn Khachaturyan, ovvero che Erevan e Baku starebbero per firmare un trattato di pace dopo i due conflitti in Nagorno-Karabakh e che “teatro” dell’accordo possa essere proprio la COP29. Dalle cancellerie internazionali però non giungono conferme in tal senso. Il Dipartimento di Stato degli Usa, preoccupato dai legami russo-azeri e dall’avvicinamento di Baku a Mosca culminato nella richiesta di adesione ai Brics, ha liquidato la vicenda sottolineando che Washington “chiedeva un trattato di pace già mesi fa”. E nel frattempo la pressione su Baku per la stretta sui diritti si intensifica. Il rischio di un flop Sul fronte ddei diritti inoltre, il consigliere di Aliyev per la politica estera, Hikmet Hajiyev, ha detto che la questione deve restare fuori dalla discussione della COP29: “Sovraccaricare l'agenda della COP con questioni che non hanno un collegamento diretto e immediato con il cambiamento climatico non è utile, ma dannoso", ha detto a Politico.eu. Le sue parole testimoniano il nervosismo del governo di Baku, che spera invece di mostrarsi come campione di innovazione e investitore strategico nel mondo della transizione verde, in un processo che unisce il gas e il petrolio di oggi alle fonti di energia alternativa. Va detto inoltre che la Cop29 fa discutere anche perché potrebbe sancire la difficoltà di raggiungere i target di decarbonizzazione decisi a Parigi nel 2015. L'International Renewable Energy Agency ha scritto che da qui al 2030 serviranno 30mila miliardi di dollari di investimenti per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati in quella storica occasione . Il ministro dell'Ambiente irlandese Eamon Ryan, tra i caponegoziatori dell'Unione Europea per la COP29, teme che il fallimento degli Accordi di Parigi, che segnarono uno spartiacque nella lotta al cambiamento climatico, assesti un ulteriore colpo nel processo di sfaldamento del sistema multilaterale. il rischio è che Baku si trasformi in un’istantanea, tristemente realista, del contesto internazionale.