Israele-Libano, Pedde: "Netanyahu punta alla testa del serpente: l'Iran"

Il confronto anche armato fra Israele e Hezbollah andava avanti da anni in una specie di guerra a bassa intensità. Che cosa ha portato alla rottura dell’equilibrio? «Credo sia stato determinante il prolungarsi del conflitto a Gaza. Lì la guerra è iniziata dopo un momento iniziale di shock da parte israeliana per quello che era successo il 7 ottobre e nella prima fase nessuno, nemmeno a Tel Aviv, prevedeva che le cose si sarebbero protratte così a lungo. All’inizio, visto l’enorme impegno militare a Gaza, Israele non poteva certo aprire due fronti contemporaneamente. Ma Hezbollah ha dato l’impressione di voler approfittare della situazione e, con il messaggio di voler vendicare i fratelli palestinesi, ha aumentato gli attacchi. A quel punto, nel momento in cui a Gaza la situazione è cambiata e c’è stata la possibilità di affrontare il problema libanese in modo più radicale, Tel Aviv non si è tirata indietro. Attenzione, però. C’è un altro fattore, che si è imposto nei mesi: nelle intenzioni di Netanyahu l’operazione in corso non deve esaurirsi a Hamas e Hezbollah ma richiede che si arrivi a quella che viene considerata la testa del serpente». L’Iran? «Esatto. Per Tel Aviv è quella la centrale operativa dell’intera crisi regionale. Così va letto anche l’ultimo discorso di Netanyahu al popolo iraniano: sembra il preludio al tentativo di estendere il conflitto in quella direzione e cercare di provocare l’Iran a compiere passi falsi per poter giustificare poi l’ulteriore escalation. Certo in quel caso il confronto non riguarderebbe più soltanto Israele ma trascinerebbe anche gli americani, la cui l’amministrazione, però, almeno in questo momento, non ha nessuna intenzione di sostenere una guerra con Teheran». La vicenda dell’esplosione dei cercapersone dimostra che Israele si stava preparando da lungo tempo a un’azione più diretta contro Hezbollah. È possibile che gli uomini di Hezbollah abbiano sottovalutato il modo in cui si stava evolvendo la situazione? «La superiorità tecnologica israeliana era nota a tutti da sempre, su questo non ci sono dubbi. Hezbollah non può quindi aver sottovalutato Israele sulla capacità. Lo ha fatto però sulla volontà. Hezbollah, ma probabilmente anche Hamas e in fondo lo stesso Iran, ha commesso l’errore di considerare Israele un Paese in crisi con un governo debole costretto ogni giorno a vedersela con una coalizione fragile guidata a fatica da Netanyahu. Quindi un governo non compatto a sufficienza per poter elaborare risposte decise a provocazioni. Invece i fatti hanno dimostrato che quello che è accaduto è riuscito perfino a cambiare il quadro della politica israeliana. Se sul conflitto a Gaza e sulla gestione della questione degli ostaggi c’erano e ci sono ancora oggi forti divergenze all’interno dell’esecutivo, sulle operazioni in Libano c’è un consenso trasversale. Anche le forze di opposizione sono favorevoli all’eliminazione della minaccia costituita da Hezbollah e lo dimostra il fatto che alcuni partiti, per quanto minori, hanno deciso di entrare nella coalizione di governo. Quindi paradossalmente l’estensione del conflitto sul fronte settentrionale ha rafforzato il governo di Netanyahu: eccolo l’errore di valutazione complessivo che molti degli attori regionali hanno fatto. Pensavano che il Paese non avesse la forza e la capacità politica di gestire un momento così delicato come la combinazione di più crisi all’interno di una dimensione regionale. Non è stato così». La popolazione libanese non è tutta schierata con Hezbollah. Perché il Libano ha consentito che nel Paese crescesse il peso specifico dei combattenti sciiti? «Il Libano come lo vediamo oggi è il frutto di una sedimentazione di problemi che ha radici nella storia. Lo stesso impianto istituzionale del Paese ricalca un modello di distribuzione dei pesi delle diverse comunità confessionali che si basa su un referendum di quasi un secolo fa. Tutti sanno che ormai questo schema non rappresenta l’effettivo peso che oggi queste comunità hanno nella società. Ad esempio, il referendum era stato fatto quando i cristiani erano la maggioranza, mentre oggi invece sono la minoranza. Al contrario, gli sciiti erano pochi e negli anni sono cresciuti molto, in numero e peso. Insomma, la demografia del Paese è cambiata ma nessuno ha mai avuto il coraggio e la capacità di promuovere dei cambiamenti con il timore di alterare equilibri già di per sé fragili in un Paese in cui la memoria della guerra civile è ancora viva. Il problema, però, è che quando lo schema istituzionale non è più rappresentativo della realtà, finisce per diventare più debole. In questa situazione, alla comunità sciita, che non è la più numerosa, è bastato mostrarsi compatta per imporsi su tutte le altre. Ha seguito una sua direzione autonoma all’interno del Paese. Si è rifiutata ad esempio di far confluire le sue forze combattenti nelle forze armate ufficiali libanesi. Si è messa a gestire la politica di difesa del Paese in modo autonomo rispetto alle autorità centrali». Esponendo, però, in questo modo, anche le comunità che non rappresenta. «E’ una specie di paradosso. Da un lato Hezbollah si muove fra le istituzioni libanesi come un movimento politico normale che cerca il consenso nel parlamento e nel governo. Dall’altra parte, però, lo stesso partito, che è parte del governo, agisce in modo totalmente autonomo nella gestione della sicurezza. Così facendo, appunto, espone l’intero Paese al rischio delle conseguenze che ne derivano, come si vede in queste settimane. Va sottolineata che la decisione di colpire Israele in solidarietà verso Hamas non è una decisione del governo libanese ma della sola Hezbollah, anche se a pagarne le conseguenze adesso è l’intera struttura istituzionale e militare del Libano, un Paese che non ha alcuna intenzione di sostenere e combattere un conflitto con Israele. In modo sempre meno velato l’opinione pubblica libanese parla oggi della responsabilità di Hezbollah nell’aver provocato una crisi per il Paese è insostenibile». Dopo gli eventi del 7 ottobre 2023 gli israeliani sono sembrati molto divisi al loro interno su come gestire le trattative sugli ostaggi nelle mani di Hamas e la guerra a Gaza e Netanyahu è parso in difficoltà. Rispetto al confronto con Hezbollah, invece, c’è più compattezza. Come si spiega? «Con il fatto che mentre la gestione di Gaza e Cisgiordania sono percepite dall’opinione pubblica israeliana come una questione interna, la vicenda Hezbollah attiene più alla difesa del Paese da minacce esterne, questo anche a causa dei missili balistici lanciati sulla Galilea. Questo porta a una percezione del rischio molto diversa». Secondo lei c’entra anche la “narrativa” messa in campo da Netanyahu? «Questo governo, vero o falso che sia, è riuscito a far accettare dall’opinione pubblica interna che l’Iran è una minaccia esistenziale ormai intollerabile per Israele, cosa che Hamas e i palestinesi in generale non rappresentano né in fondo lo hanno mai fatto, nemmeno dopo i fatti del 7 ottobre. L’Iran, e Hezbollah come sua articolazione regionale, oggi sono invece percepiti come entità che davvero possono causare la distruzione dello Stato di Israele. Davanti a una simile prospettiva, ovvio che diventa necessario prendere ogni misura possibile. Ecco perché contro Hezbollah si vede un fronte compatto che non esiste invece nei confronti di Hamas». Visto quello che sta accadendo come cambieranno il quadro e gli equilibri nella regione? «Il primo cambiamento riguarda la capacità politico-militare di Hezbollah, che oggi è fortemente indebolita dal fatto che tutti i quadri dirigenti di prima generazione, cioè di quelli entrati nella struttura negli Anni Ottanta, sono stati o eliminati o messi nelle condizioni di non poter esercitare il proprio ruolo. Questo ha danneggiato la capacità organizzativa dell’intera struttura militare. E’ una condizione di debolezza che, certo, potrebbe anche non durare nel tempo ma che attualmente gli Israeliani stanno cercando di sfruttare. Colpendo magazzini di armi e postazioni di lancio, vogliono annullare il vantaggio che le milizie sciite hanno acquisito negli ultimi 20 anni rispetto alle altre forze libanesi».