10 anni fa il Referendum per l'Indipendenza: come è cambiata la Scozia

Esattamente dieci anni fa, la Scozia decideva di rimanere all’interno del Regno Unito. Era fallito così il sogno degli indipendentisti di rendere Edimburgo una realtà staccata e diversa da quella di Londra, dopo tanti secoli di storia comune. Il no era prevalso con il 55,30% dei consensi. Da allora però, molto è cambiato. A che punto è la causa nazionalista? Lo choc della Brexit Se c’è un motivo per cui il voto popolare del 2014 bocciò la proposta indipendentista è perché gli scozzesi non volevano rinunciare al loro posto nell’Unione europea. La scelta della più popolosa Inghilterra di far prevalere, insieme al Galles, il “Leave” al referendum del 2016 è qualcosa che oltre il Vallo di Adriano ancora non perdonano. La maggior parte delle persone - in Scozia prevalse il “Remain” con il 62% - vive quanto accaduto come un’autentica beffa e come l’ennesima imposizione dall’alto. Per capire meglio: davanti a Holyrood, il parlamento locale di Edimburgo, accanto alla croce di Sant’Andrea e alla Union Jack sventola ancora la bandiera europea, tanto alto è il livello di nostalgia. Viaggiando per la Scozia, è estremamente facile sentirsi dire: “sono innanzitutto scozzese, ma anche europeo”, ogni volta che si solleva il tema della Brexit. Il secondo referendum Da First Minister, Nicola Sturgeon, la lady di ferro dello Scottish National Party, era tornata già a fine 2020 a chiedere un nuovo referendum sull’indipendenza. Opzione subito scartata dai vari leader conservatori che si sono avvicendati a Downing Street negli ultimi 4 anni. Per Boris Johnson, Liz Truss, Rishi Sunak, un appuntamento elettorale di questo tipo ci può essere solo una volta a generazione, discorso chiuso. Non è escluso che tale rigidità sia stata anche mantenuta per stroncare sul nascere l’idea che anche il referendum sulla Brexit sia ripetibile. Nel novembre 2022 la Corte costituzionale britannica ha definitivamente bocciato la richiesta di un secondo referendum. Cosa che ha fatto infuriare la First Minister e gli scozzesi. Il Regno Unito, che una vera e propria costituzione non ce l’ha, è inteso come una “unione tra pari” dai tempi di Giacomo I, quindi da inizio Seicento. A detta di Sturgeon, e dell’opinione pubblica scozzese, questa “parità” sarebbe però fittizia. La prima reazione della leader scozzese fu quella di annunciare che le successive elezioni politiche del 2024 sarebbero state una sorta di referendum de facto sull’indipendenza: chi era a favore avrebbe dovuto votare SNP. Gli scandali interni al partito nazionalista Peccato però che lo Scottish National Party, da lì a poco, verrà travolto da una serie di scandali, che porteranno anche all’incriminazione del marito di Sturgeon, Peter Murrell, per appropriazione indebita, con l’accusa di aver sottratto soldi alle casse del partito, di cui era il ceo. Già nei mesi precedenti alla formalizzazione delle accuse contro il coniuge, Sturgeon, prima di essere a sua volta fermata, interrogata, e subito rilasciata, aveva abbandonando il suo ruolo di leadership, adducendo come motivazione una stanchezza non più trascurabile. Nell’arco di un anno e mezzo si sono successi due First Minister: Hamza Yussaf e l’attuale John Swinney, che guida al momento un governo di minoranza. Il ritorno del Labour Nel frattempo ci sono state le elezioni politiche del 4 luglio, che hanno ridotto al lumicino la presenza dei nazionalisti al parlamento di Westminster, travolta dalla valanga rossa laburista. Il Labour Party è unionista come il partito conservatore e con lo Scottish national party così in difficoltà è difficile pensare che ci possa essere presto un nuovo referendum. Attenzione però a ritenere il sentimento nazionalista sedato. Tutt’altro. I sondaggi attestano che si mantiene sempre alto, più o meno agli stessi livelli di dieci anni fa, se non di più, e circa una persona su due ritiene giusto avere un secondo referendum. Secondo un sondaggio di Yougov, svolto in questo ultimo periodo, più giovane è l’età degli intervistati, e più i consensi si alzano. Ma la lista delle urgenze, rispetto a dieci anni fa è mutata. Molti indipendentisti hanno semplicemente fatto un bagno di realtà. Alla vigilia del voto di luglio, la risposta più comune intervistando la gente era: “L’indipendenza è sempre qualcosa a cui puntiamo, ma le priorità ora sono altre, per forza di cose: il carovita, lo stato del nostro sistema sanitario pubblico, la crisi degli alloggi, l’occupazione”. Intanto la bandiera europea continuerà a sventolare davanti al parlamento locale.