Haiti non trova pace: quattro anni di sangue e anarchia a Port-au-Prince

La crisi politica e sociale di Haiti non sembra conoscere fine. Da quattro anni il Paese caraibico è in preda all’anarchia, tra una classe politica inadeguata, una guerra tra bande che insanguina la capitale Port-au-Prince e tentativi internazionali di risoluzione della crisi che proseguono senza esiti. Da maggio 2020 è in corso nella capitale il conflitto tra i due schieramenti di gang: le Forze rivoluzionarie della famiglia G9 e i loro alleati e il G-Pep. Il governo legittimo ha a lungo lottato con entrambe per mantenere il controllo della capitale, ma da quando il presidente Jovenel Moïse, è stato assassinato nella sua abitazione, nel luglio 2021, il collasso istituzionale è accelerato. Le Nazioni Unite stimano che dal 2020 a oggi quasi 5mila persone siano morte negli scontri che coinvolgono le gang, le forze di polizia e i movimenti di cittadini auto-organizzatisi per ovviare alla carenza di sicurezza in molte città, i bwa kale. Con oltre 350mila sfollati e 3,5 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare, inoltre, Haiti vive la più grande emergenza umanitaria della regione caraibica. Una crisi umanitaria senza fine Nel Paese che da tre anni non ha un’autorità stabile alla guida sono previste elezioni nel 2026. Dal 3 giugno scorso e fino ad allora nel Paese governa un consiglio transitorio guidato dal premier Gary Conille, ex funzionario Onu che aveva già ricoperto l'incarico tra il 2011 e il 2012. L’ascesa di Conille ha preceduto di poco l’avvio di una missione di peacekeeping dell’Onu diretta dal Kenya che ha fornito il primo gruppo di circa 400 agenti di polizia su una forza prevista di 2.500 unità. L’Onu denuncia da tempo che il potere delle gang che si combattono il controllo della capitale e di altre città finanziandosi con narcotraffico e sequestri stia producendo conseguenze umanitarie disastrose: “L'abuso sessuale di donne e ragazze è diventato pratica comune con bande che usano lo stupro come arma per imporre la loro autorità” afferma il rapporto. Donne e bambini sono le vittime più a rischio delle violenze, che nell'ultimo periodo hanno comunque visto un relativo calo, con una diminuzione degli omicidi del 45% da aprile a oggi. Effetto, secondo Diego Da Rin, uno specialista di Haiti dell'International Crisis Group, del ruolo dei poliziotti kenyoti che hanno aiutato le forze di sicurezza a rafforzare il controllo sul territorio. I timori di Washington Finora Bahamas, Bangladesh, Barbados, Belize, Benin, Ciad e Giamaica hanno offerto alle istituzioni di Haiti di contribuire al contingente Onu. Ma solo il contingente giamaicano, forte di una ventina di agenti, ha per ora ricevuto l’ok da Port-au-Prince, insediandosi nel Paese il 12 settembre. Anche il segretario di Stato Anthony Blinken, che ha visitato Haiti il 5 settembre, ha promesso assistenza. Washington teme che un collasso dell’ex colonia francese crei una crisi generalizzata, portando a un aumento dell’insicurezza e all’esplosione di una bomba migratoria a poche centinaia di chilometri dalle proprie coste. Ad ora gli Usa stanno garantendo alle autorità di Haiti supporto finanziario e equipaggiamenti per cui Washington ha stanziato circa mezzo miliardo di dollari. Inoltre il Pentagono assiste Haiti inviando veicoli blindati per il trasporto delle truppe e dei poliziotti, apparecchiature radio, equipaggiamento difensivo e visori notturni. Ma c’è chi chiede un impegno maggiore. "Sembra più facile per gli USA erogare miliardi per l'Ucraina che qualche centinaio di milioni per Haiti", ha osservato senza troppi giri di parole, nei giorni della visita di Blinken il sito web Haiti Libre. Blinken ha ricordato che “c’è ancora un enorme lavoro da fare” per normalizzare la situazione ad Haiti. Mentre le gang sono ben al di là dall’essere prossime alla sconfitta.