Le elezioni in Giordania e l’ombra del conflitto a Gaza

Le elezioni del 10 settembre in Giordania hanno registrato un’avanzata del Fronte Islamico d’Azione affiliato ai Fratelli Musulmani, emerso dalle urne come partito di maggioranza relativa. Il voto si è svolto per la prima volta secondo la nuova legge elettorale del 2021, pensata per dare maggior peso ai partiti nei processi decisionali del paese. Il successo degli islamisti Secondo la Commissione elettorale giordana gli islamisti hanno conquistato 31 seggi su 138. Un successo che è la conseguenza di una campagna elettorale incentrata sulla denuncia della guerra israeliana contro i palestinesi e sull’onda della grande popolarità di Hamas e della causa palestinese in territorio giordano. Di fatto lo Iaf ha triplicato la sua rappresentanza affermandosi in un voto nel quale la bassa affluenza - ha votato solo il 32% degli aventi diritto - non fa venire meno l’elevato peso politico del risultato. In Giordania gli effetti a cascata della guerra a Gaza stanno creando tensioni interne di ampia portata: il Paese ha una popolazione che per metà è di origine palestinese, ospita un ampio numero di profughi e teme che un collasso della situazione a Gaza o nella West Bank possa ripercuotersi dentro i suoi confini facendo venire meno gli equilibri interni. L’ombra del conflitto La guerra a Gaza sta minando le basi della precaria stabilità giordana che se da un lato è legata a doppio filo con il mondo palestinese, dall’altro è firmataria di un accordo di pace con Israele ed è considerata da Washington un “Major Non-Nato Ally” nella regione dal 1996. Il conflitto a Gaza, la crescente conta dei morti civili nella Striscia sotto i bombardamenti israeliani dell’ultimo anno, l’ambiguità della posizione americana hanno alimentato il montare delle proteste nel Paese contro le politiche di Tel Aviv e a favore della Palestina negli ultimi mesi. Una manifestazione d’insoddisfazione era emersa ad aprile, quando la Giordania aveva assistito gli Usa e Israele nel bloccare gli attacchi iraniani verso il territorio dello Stato ebraico. Una decisione del governo giordano che aveva suscitato numerose proteste. Anticipando l’importante svolta manifestata delle elezioni. La precarietà della Giordania Il voto mostra che a livello sociale, come pure nelle alte sfere di governo, c’è una crescente tensione per il futuro politico della regione. Come nota l’International Institute for Strategic Studies, “il governo giordano ritiene che la guerra in corso, il governo di estrema destra in Israele, la debolezza dell'Autorità Nazionale Palestinese e la crescente violenza dei coloni in Cisgiordania aumentino il rischio di uno scenario apocalittico: un afflusso di rifugiati palestinesi dalla Cisgiordania in Giordania”, la fine del sostegno dell’agenzia Onu per la Palestina ai 2,4 milioni di profughi nel Paese e la perdita della custodia dei luoghi sacri dell’Islam a Gerusalemme da parte della Giordania. Per questo secondo il leader della fratellanza musulmana giordana Murad al-Adailah "le elezioni riflettono il desiderio di cambiamento e coloro che hanno votato non erano necessariamente tutti islamisti". Lo Iaf ha promesso di lavorare per una svolta radicale. La voce degli islamisti giordani sarà una forza politica non secondaria nel quadro della politica regionale mediorientale, in un contesto in cui un’espansione del conflitto rischierebbe di ridisegnare profondamente gli equilibri strategici e di mettere a repentaglio la stabilità di molti Stati.