Tunisia verso il voto tra repressione e arresti

A inizio settembre la Tunisia ha registrato l'arresto per presunte malversazioni nella presentazione della candidatura di uno degli avversari più insidiosi per Saied, Ayachi Zammel, fermato a Tunisi lo scorso 2 settembre. Zammel, uomo d'affari ed ex parlamentare che nel 2019 aveva sostenuto Saied prima di rompere col presidente, era uno dei due candidati a cui è stato concesso sfidare Saied al voto. L’altro è Zouhair Maghazoui, leader del Movimento del Popolo esponente della sinistra araba nazionalista. La stretta sull’opposizione Nel frattempo, tre concorrenti sono stati banditi. Si tratta di Mondher Znaidi, ex ministro del presidente Ben Ali, rovesciato dalla Primavera Araba nel 2011 e nostalgico dell’era del regime post-indipendenza che per mezzo secolo ha guidato la Tunisia; Abdel Latif Mekki, vicino alla Fratellanza Musulmana; Imed Dleimi, candidato moderato con un vasto seguito giovanile. Sulle schede mancherà anche il simbolo di Ennahda, principale partito di opposizione di ispirazione islamista, dopo che il suo leader Rached Ghannouchi, a inizio anno è stato condannato a tre anni di carcere con l’accusa di finanziamento illecito della campagna elettorale. Questo spiana la strada alla riconferma di Saied in un quadro di crescente repressione del dissenso. L'ex giurista, eletto nel 2019 come indipendente e premiato dall'elettorato per la sua immagine di distaccata rispettabilità, i toni garbati e l'attenzione a temi molto sentiti dall’elettorato come la lotta alla corruzione e il rispetto dei valori della costituzione democratica tunisina, si presenta alle presidenziali del 6 ottobre profondamente cambiato. Il politologo Hatem Nafti, parlando con France 24, traccia i contorni dell’involuzione del Paese: “Saied, con il pretesto di una crisi economica e sanitaria, ha organizzato un colpo di stato il 25 luglio 2021. Da allora, ha completamente trasformato la governance politica, muovendosi verso un regime con poteri presidenziali molto estesi. Ad esempio, si è dato il diritto di licenziare i giudici. Semplicemente, sulla base di un rapporto della polizia che afferma che il tale è un giudice corrotto, può licenziarlo”. Lo scrittore aggiunge che “oggi in Tunisia abbiamo un regime ultrapresidenziale in cui il capo dello Stato decide su quasi tutto”, sottolineando come un recente decreto anti-fake news sia usato sistematicamente per incarcerare giornalisti e dissidenti scomodi. Cinque cronisti e reporter critici del regime sono stati incarcerati ai sensi della nuova legge, ricorda il Comittee to Protect Journalism. Il “colpo di Stato al rallentatore” In questo contesto, il clima di speranza seguito alla rivoluzione del 2011 si è trasformato in disillusione, di fronte alla crescente restaurazione autocratica. Nel maggio 2023 il Financial Times parlava di un “colpo di Stato al rallentatore” con cui Saied lavorava per consolidare nelle sue mani tutto il potere. Sfruttando a fini interni il posizionamento strategico del Paese nel Mediterraneo per spingere sulla comunità internazionale a risolvere, con il sostegno dei prestiti del Fondo Monetario Internazionale, i problemi di crescita economici interni della Tunisia che ne minavano la base di consenso. La sponda con l’Unione Europea, e soprattutto col governo italiano di Giorgia Meloni, per accordi-quadro sulla gestione dei flussi migratori ha in questo senso garantito credibilità internazionale al presidente che, nel frattempo, faceva gradualmente piazza pulita dei concorrenti interni. E che il 6 ottobre mira a un’affermazione plebiscitaria per nutrire di formale consenso una presidenza sempre più autocratica.