Avere vent'anni a Gaza, quando la guerra costringe a studiare tra le macerie

Tra gli effetti collaterali di una guerra c'è n'è uno di cui non sempre si parla: la sospensione, per un attimo o molti di più, non soltanto del presente ma del futuro di chi quella guerra la vive. E così, mentre a Gaza piovono raid e muoiono migliaia di civili - secondo il Ministero della Sanità i morti dal 7 ottobre sono oltre 40.000, con un bilancio che sale tragicamente di giorno in giorno - ai segni sulla carne dei cadaveri si aggiungono le ferite psichiche dei sopravvissuti. Scolasticidio La distruzione degli istituti di istruzione superiore sulla Striscia ha inferto un colpo devastante al futuro delle giovani generazioni. Scuole, università. Con tutte queste strutture bombardate, il sogno di un'istruzione è stato brutalmente messo da parte da ragazzi e ragazze palestinesi, rimasti senza prospettive di crescita personale e professionale. Quasi 700.000 studenti e soprattutto studentesse, in un Paese in cui il gap della disuguaglianza di genere è duro a morire. Per questo motivo l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha espressamente parlato di "scolasticidio". Un termine che si riferisce, oltre che alla distruzione delle infrastrutture educative, alla sistematica cancellazione dell’istruzione attraverso gli arresti, la detenzione e le uccisioni di studenti e docenti . "L'educazione in Palestina è un mezzo fondamentale per il miglioramento socio-economico e per la costruzione di un'identità culturale e nazionale. La perdita delle università non è solo un danno materiale; è un attacco diretto al futuro di una società che vede nell'istruzione la speranza di un domani migliore", ha spiegato a Sky Tg24 Linda Cirielli, esperta in Relazioni Internazionali e Studi Europei. A Gaza tutti e 12 gli istituti di istruzione superiore sono stati distrutti. E uno degli ultimi raid israeliani ad aver fatto carneficina di civili è stato su una scuola. Come la distruzione di queste strutture colpisce il futuro della società palestinese? L’educazione ha un’importanza fondamentale nella società palestinese, sia come mezzo di resistenza e autodeterminazione che come strumento per migliorare le condizioni socio-economiche. La distruzione delle università ha conseguenze devastanti per il futuro del territorio. Anzitutto, la perdita di capitale umano, perché i giovani sono di fatto condannati a un futuro di incertezza e vedono ridursi la possibilità di sviluppare le competenze necessarie per contribuire alla società e all’economia; poi la dispersione sociale: senza accesso all’istruzione, le prospettive per i giovani diventano più cupe, aumentando il rischio di radicalizzazione, disillusione e dipendenza dall’assistenza umanitaria, alimentando cicli di violenza e instabilità; infine l'impoverimento economico, in quanto non formare significa ridurre la capacità della popolazione di partecipare al mercato del lavoro in modo produttivo, di innovare... Tutto questo ha un impatto psicologico, prima che sociale... Certo. Senza un’educazione robusta che permetta ai giovani palestinesi di apprendere la propria storia e l’importanza dei diritti umani, c’è il rischio che la narrativa storica venga manipolata. Questo può portare alla diffusione di versioni distorte o incomplete della situazione dentro e fuori Gaza, che possono indebolire l’identità personale, prima che la coesione sociale della comunità. Cosa può fare la comunità internazionale per proteggere il diritto allo studio nei territori occupati? Tanto per cominciare, la comunità internazionale potrebbe fornire fondi per la ricostruzione delle scuole e delle università distrutte, oltre a materiali educativi, attrezzature e personale qualificato. La prima sfida, infatti, è proprio rimettere in piedi gli staff accademici. Organizzazioni Internazionali e ONG potrebbero essere coinvolte nella gestione di questi fondi per garantire che vengano utilizzati efficacemente. Come misura di prevenzione, potrebbero essere stabilite delle zone di protezione attorno alle strutture educative nei territori occupati, simili a quelle create per gli ospedali, per garantire che le scuole non siano coinvolte negli scontri o usate per scopi militari o per la costruzione di tunnel sotterranei. E si potrebbe investire in programmi di istruzione a distanza, sfruttare la tecnologia per garantire che l’educazione possa continuare comunque. Cosa che, in parte, già avviene grazie al contributo ad esempio della Cisgiordania. Va da sé che non per tutti è semplice avere accesso a un computer, a un cellulare e soprattutto a una buona connessione Internet. Esistono esempi storici o contemporanei di altre regioni in cui l'educazione è stata colpita in modo simile? Cosa possiamo imparare da questi casi? Ne riporto uno, emblematico per tutti. Sudafrica, Apartheid. Il sistema educativo sudafricano era profondamente segregato, con le scuole dei neri che ricevevano risorse significativamente inferiori rispetto a quelle dei bianchi. L’istruzione era utilizzata come strumento di oppressione, con curricula progettati per mantenere la superiorità razziale dei bianchi. Questa politica ha lasciato un’eredità di disuguaglianza educativa che ha continuato a influenzare la società sudafricana anche dopo la fine dell’apartheid, contribuendo alle disuguaglianze economiche e sociali persistenti. Se è vero che la storia è magistra vitae, non meravigliamoci quando tra cent'anni l'integrazione di alcune etnie non sarà ancora avvenuta e le donne col velo continueranno a esser guardate male sull'autobus.

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