Taiwan nel mirino: guerra di nervi tra Pechino e Taipei

Quando lo scorso gennaio i taiwanesi sono andati a votare hanno lanciato un messaggio chiaro a Pechino: Taiwan è determinata a preservare la propria identità e libertà. Le tensioni tra le due sponde dello Stretto si sono ulteriormente intensificate in seguito alla vittoria e all’insediamento di William Lai come presidente di Taiwan il 20 maggio 2024. Lai, descritto da Pechino come un "secessionista", ha garantito la continuità del governo del Partito Progressista Democratico, quello che maggiormente rivendica l’indipendenza dell'isola dalla Cina e che ha come obiettivo esplicito mantenere lo status quo, ovvero ciò che desidera la maggior parte dei taiwanesi secondo i sondaggi d’opinione. Se a Taiwan gli obiettivi non cambiano, lo stesso succede dall’altro lato dello stretto, nella Cina di Xi Jinping, dove la riunificazione rimane un tema su cui non si scende a compromessi. Almeno a parole. Nei fatti, le ambizioni della Repubblica Popolare si scontrano con la realtà: riprendersi l’isola di Formosa è un’operazione estremamente complicata, che metterebbe a rischio la posizione che la Cina si è guadagnata nel sistema internazionale negli ultimi 50 anni e le sue ambizioni future. Pechino quindi mostra i muscoli, ma tiene viva la possibilità che la questione si possa risolvere senza operazioni militari. Ci sarebbe, però, una data di scadenza alla pazienza cinese: il 2049, quando la Repubblica Popolare fondata da Mao Zedong compirà cento anni. Scenari di guerra tra realtà e fiction Ogni volta che un caccia della Repubblica Popolare Cinese entra nello spazio aereo taiwanese, la notizia crea più clamore sulla stampa internazionale che tra i cittadini dell’isola. Dalla visita di Nancy Pelosi a Taipei nell'estate del 2022 in poi, Pechino infatti non fa che aumentare la pressione sulla repubblica “secessionista”, il cui governo mette in costante allerta la popolazione, cercando tuttavia di non scatenare il panico. Negli ultimi anni, Taipei ha prolungato la leva militare obbligatoria e fatto comparire in giro per le città mappe che indicano i rifugi antiaerei più vicini. Tuttavia, un trailer di 17 minuti di una nuova serie TV potrebbe rivelarsi più efficace di tutte le misure finora adottate. Si chiama Zero Day, uscirà nel 2025, e immagina dettagliatamente e in modo estremamente realistico un’invasione cinese dell’isola, con particolare attenzione ai cyberattacchi e alla guerra psicologica. Zero Day e l'ipotesi blocco navale Zero Day offre vari spunti su scenari spesso discussi riguardo a come la Cina potrebbe invadere Taiwan. Uno dei più citati è proprio quello mostrato nel primo episodio della serie, su cui si basa il trailer: il blocco navale dell’isola. Nella pratica, questo potrebbe prendere forme diverse: da un isolamento completo messo in atto da navi da guerra e aerei militari, ad aggressive "ispezioni doganali" ad opera delle autorità cinesi sulle navi che cercano di accedere a Taiwan, combinate con test missilistici per scoraggiare il traffico marittimo nei porti dell’isola di Formosa. Si affiancherebbero poi probabilmente attacchi informatici alle istituzioni finanziarie e ad altre infrastrutture economiche. Il blocco potrebbe essere breve, come avvertimento, oppure lungo, con l’intento di distruggere l'economia di Taiwan, affamare la sua popolazione e costringerla alla resa. A rendere così discusso lo scenario di un blocco navale è il fatto che sia più praticabile rispetto a un'invasione su larga scala dell’isola. Lo Stretto di Taiwan infatti, è largo circa 180km, le sue acque sono spesso increspate e, a causa delle due stagioni dei monsoni e di altri eventi meteorologici estremi, un’invasione via mare sarebbe ipotizzabile solo in alcuni periodi dell’anno. Inoltre, la flotta anfibia della Cina è relativamente piccola e, sebbene in caso di attacco Pechino farebbe probabilmente ricorso anche a navi civili, queste impiegherebbero più tempo per spostarsi risultando più esposte ai missili taiwanesi. Una strategia di logoramento Pechino tuttavia ha altre opzioni oltre all’invasione via mare per punire o annettere Taiwan. Un'ipotesi avanzata da vari osservatori è quella di una quarantena condotta non dal suo esercito, ma dalla sua guardia costiera e da altre forze dell’ordine. Invece di sigillare l'isola, la quarantena avrebbe lo scopo di dimostrare la capacità della Cina di esercitare il controllo sull’isola. Lo scenario preferito da Xi Jinping, però, sarebbe probabilmente quello in cui la Cina non deve sparare nemmeno un colpo, evitando così la possibilità di interventi da parte di attori esterni o di inciampare in una guerra più difficile di quanto ci si aspettasse. Si tratterebbe dunque di pressare Taipei in maniera progressiva ma senza sfociare in una guerra aperta. In quest’ottica nulla vieta di pensare che una simile strategia non sia già iniziata. Sul lungo periodo le sue attività ‘aggressive’ di Pechino potrebbero rientrare in una più ampia strategia di logoramento volta a creare la percezione che l'isola non sia in grado di difendersi. A queste attività si affiancano operazioni di disinformazione, attacchi informatici e sforzi per isolare diplomaticamente Taiwan. Il successo di tali mosse non è garantito e dipenderà in larga misura da come Taipei, gli Stati Uniti e altri risponderanno.