A Kiev l'autunno anticipato del governo: cosa sta succedendo ai ministri ucraini?

Una bocciatura secca, un giudizio sospeso e molte incognite. Se si volesse riassumere in poche righe quel che sta accadendo in queste e nelle prossime ore nel governo Kiev, si potrebbe dire che anche a livello politico ci si prepara a tempi duri. E per questo il presidente Volodymyr Zelensky ha voluto riorganizzare il vertice del Paese. Che sia un rimpasto dettato dai risultati considerati insoddisfacenti, oppure se si tratti di un cambio di strategia non è chiaro. Anche perché potrebbero essere entrambe le cose. Un quadro complesso e poco conosciuto Partiamo da una premessa: districarsi nella politica ucraina non è semplice, e molti nomi non sono di comune conoscenza, né i ruoli che ricoprivano rispecchiavano l’importanza della posizione all’interno dell’inner circle di Zelensky. Perché su un punto non c’è dubbio: per avere un peso, in Ucraina, si deve essere fedelissimi del presidente, e non c’è spazio per posizioni non allineate. I singoli casi Quindi ripartiamo dall’inizio, la bocciatura. Quella di Volodymyr Kudrytskyi, il capo della compagnia energetica nazionale Ukrenergo. Questo il caso più semplice: a lui viene imputata la scarsa protezione degli impianti continuamente bersagliati dai raid russi, la conseguente crisi energetica che ha messo in ginocchio il Paese. Insomma, un caso piuttosto chiaro. Meno evidenti i motivi che hanno spinto invece alle dimissioni il presidente del Parlamento, Ruslan Stefanchuk, il responsabile per le Industrie strategiche Oleksandr Kamyshin - cioè la produzione nazionale di armamenti, il ministro della Giustizia Denys Malyuska, quello dell’Ambiente Ruslan Strilets. E poi la vicepremier Iryna Vereshchuk, responsabile per la reintegrazione dei territori temporaneamente occupati, e Olha Stefanishyna, vicepremier per l’Integrazione euro-atlantica. Zelensky: il rimpasto coinvolgerà il 50% del governo Come se non bastasse, a questa lunga lista che, secondo lo stesso Zelensky, dovrebbe coinvolgere almeno metà dell’attuale esecutivo, è da aggiungere anche il direttore del Fondo per le proprietà statali, Vitali Kova. E qui ogni posizione ha una spiegazione a sé stante, anche se inserita in una logica di ricollocamento dei singoli. Per esempio, Olha Stefanishyna, che si è occupata delle relazioni con l’Ue e la Nato, potrebbe cedere il suo posto al personaggio che ha suscitato più scalpore. Il caso Kuleba Parliamo naturalmente di Dmytro Kuleba, il ministro degli Esteri che negli ultimi 3 anni si è sfiancato nel girare le capitali occidentali per costruire una rete a sostegno dell’Ucraina. Le sue dimissioni, scritte a mano, sono state consegnate alla Rada suscitando scalpore nelle cancellerie occidentali. Anche se si sospetta che almeno a Washington la notizia non sia arrivata inaspettata. E Kuleba non può essere sospettato di scarso allineamento alle posizioni di Zelensky, tutt’altro. L’ipotesi che si sta facendo largo, invece, è che l’ex capo della diplomazia ucraina potrebbe andare a Bruxelles nella veste di ambasciatore, riunendo i fascicoli Ue e Nato. I dossier Ue e Nato In entrambi i casi si tratta di dossier che hanno ricevuto una sorta di via libera da parte dell’Occidente. Non si è trattato però di un sì incondizionato: bensì dell’inizio di un processo che non si preannuncia né breve né semplice. Anche perché Kiev ha tutt’altro che le caratteristiche per entrare in entrambe le organizzazioni. Troppe perplessità sull’altissimo tasso di corruzione, sulle libertà politiche e sulle tragiche condizioni economiche in cui verserà l’Ucraina il giorno dopo in cui finirà la guerra. Per questo un personaggio come Kuleba – raramente lo si è visto in divisa, contrariamente a quasi tutti i rappresentati delle istituzioni ucraine – ben introdotto nelle cancellerie occidentali, profondo conoscitore delle dinamiche interne alle organizzazioni internazionali, potrebbe svolgere un ruolo prezioso. Un passaggio di consegne tra esperti Al suo posto si fa il nome di un personaggio di provata esperienza: Andrii Sybiha, attualmente vicecapo dell’ufficio del presidente. Ex diplomatico di lungo corso, ha prestato servizio come ambasciatore in Turchia e in Polonia. Due paesi che nello scacchiere internazionale e che nel conflitto ucraino hanno un peso determinante. La Polonia come fronda dei falchi europei, la Turchia come interlocutore sempre più vicino alle posizioni di Mosca. Soprattutto dopo l’annunciato ingresso nei Brics da parte di Ankara. La reazione russa Per ora da Mosca i commenti sono stati sarcastici. “In autunno cadono le foglie e si vedono i rami secchi”, ha chiosato la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, mentre Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino ha invece glissato dicendo di “non vedere differenze” che possano influire il futuro del conflitto. Un possibile cambio di strategia In realtà, vista in una prospettiva diversa, la logica del rimpasto va proprio in questa direzione: prepararsi a un cambio di strategia in vista di un autunno e un inverno che si preannunciano difficilissimi. Perché la situazione sul campo è tutt’altro che rosea. Le truppe di Mosca avanzano nel Donbass, minacciando la città di Pokrovsk, mentre mercoledì i raid aerei della Federazione hanno bersagliato Leopoli provocando vittime civili. Una difficoltà in parte attenuata dall’avanzata nell’oblast di Kursk, in Russia, ma che ora ha bisogno di armi occidentali per poter essere sostenuta. Forse in questa logica va vista la riorganizzazione sul fronte delle forniture militari, con un potenziamento delle capacità produttive da parte della stessa Ucraina. Insomma, se gli alleati sono recalcitranti a inviare armi per attaccare direttamente la Federazione, allora l’Ucraina dovrà farsele da sola. Come per i droni che hanno colpito in profondità il territorio russo. Una lunga battaglia, non solo sul campo In definitiva, un rimpasto in un momento così delicato del conflitto può sembrare una mossa azzardata, rivelare anche una debolezza interna o anche, banalmente, la stanchezza di persone che da tre anni cercano disperatamente di governare un Paese nel momento più drammatico della sua storia. È possibile che ci sia del vero. Oppure può essere un passaggio necessario per cambiare l’assetto del governo di Kiev, in vista di una nuova fase, con un approccio più politico e al tempo stesso più pragmatico. Quel che emerge è che in Ucraina si è consolidata la certezza che la guerra necessita di una risposta più strutturata, di lungo periodo, non solo emergenziale. Nella strategia di Zelensky insomma sembra che la retorica abbia ceduto il passo alla concretezza, consapevole che la battaglia non si combatte solo sul campo.