Sullivan a Pechino, Biden e Xi ristabiliranno il “telefono rosso”?

Competizione sì, ma con delle regole: la recente visita a Pechino di Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale del presidente americano Joe Biden, e il suo incontro col capo di Stato cinese Xi Jinping aprono a nuove prospettive nel rapporto strategico tra le due potenze Sullivan è giunto a Pechino come pontiere inviato dal presidente Usa, che punta a un confronto diretto con Xi prima della fine del suo mandato, a gennaio 2025, al fine di dare un ordine e fissare precise linee operative nel rapporto sino-americano. Una strategia che mira a unire deterrenza, competizione e diplomazia in un approccio comune e che a Washington è stato elaborata per gestire al meglio la sfida cinese. La percezione è che dal campo militare alla questione dei dazi, dalla rivalità tecnologica al braccio di ferro sul sostegno della Cina alla Russia in Ucraina, la rivalità tra i due paesi rischi di sfuggire di mano. E che un contatto diretto con l’avversario serva, anche a Washington, per confrontarsi con avversario su obiettivi e linee rosse. Un nuovo equilibrio è possibile? Sullivan ha anche incontrato il generale Zhang Youxia, vicepresidente della Commissione militare centrale, e il ministro degli Esteri Wang Yi, visto per la quinta volta in sedici mesi dopo i precedenti incontri a Vienna, Malta, Washington e Bangkok. Prendere le misure e rimettere ordine: agendo in maniera esterna ai principali apparati strategici del Paese, Pentagono e Dipartimento di Stato, Sullivan si è fatto promotore della diplomazia personale di Biden. Che si propone - in vista di una vittoria della vice Kamala Harris alle elezioni di novembre – di regolare le relazioni bilaterali. O - in caso di un eventuale ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca - di normalizzare la competizione tra Usa e Cina. Questioni come la rivalità Usa-Cina nel Mar Cinese Meridionale, le rivendicazioni cinesi su Taiwan, la guerra tecnologica e il sostegno di Pechino a Vladimir Putin necessitano infatti di essere discusse con continuità. Come afferma il politologo Wen-Ti Sung, parlando col Guardian: “Biden ha ragione a voler lasciare le relazioni bilaterali più cruciali al mondo su un buon piano mentre se ne va, per consolidare la sua eredità. E la Cina ha un incentivo a mostrare buona volontà nei confronti dell'amministrazione Biden uscente”. Insomma, la percezione è che Biden voglia lasciare lo Studio Ovale istituendo una sorta di “telefono rosso” sulla falsariga di quello attivo durante la Guerra Fredda tra Usa e Urss. Da qui il tono cortese con cui la notizia della visita di Sullivan è stata accolta dai media di regime a Pechino, che hanno sostenuto l'idea che si tratti di un passo in avanti a due anni dal picco negativo toccato con la visita dell’ex Speaker della Camera Nancy Pelosi a Taiwan nel 2022. La sfida della fiducia La fiducia da entrambe le parti sarà essenziale per dare seguito a questa buona volontà. Anche se il corrispondente di The Atlantic da Pechino, Michael Schumann, invita alla prudenza, ricordando che “Xi si atteggia a uomo di pace, offrendo al mondo idee fresche su diplomazia e sicurezza che potrebbero risolvere i conflitti globali. Tuttavia, le sue azioni, e soprattutto le sue mosse per approfondire una partnership con il presidente russo Vladimir Putin, suggeriscono che egli rappresenti una nuova minaccia alla stabilità e, invece di portare sicurezza, stia facilitando forze che creano scompiglio”. Da parte della Casa Bianca, invece, bisognerà capire quanto l’apertura di Biden si concilierà con la consolidata tendenza degli apparati federali americani a contenere la Cina in ogni settore. E dunque sulla possibilità di ristabilire relazioni basate su una fiducia che, da tempo, sembra esser venuta meno su entrambe le sponde del Pacifico.