Usa, come orientarsi tra i sondaggi?

Sondaggi singoli, media dei sondaggi Michigan ultima settimana di luglio: in uno degli Stati decisivi due sondaggi condotti negli stessi giorni danno risultati opposti. Trump in vantaggio di un punto , Harris in vantaggio addirittura di 11 punti . Sono sondaggi piuttosto diversi per metodologia e ampiezza del campione eseguiti per di più in giorni molto sensibili per l’umore dell’elettorato, immediatamente dopo il ritiro di Joe Biden e l’investitura di Kamala Harris. È un esempio quasi estremo ma aiuta a capire perché per avere un quadro meno aleatorio spesso si ricorra spesso alla “media dei sondaggi” che tiene conto di tutte le rilevazioni in un arco di alcune settimane. Sondaggi nazionali Sono quelli più frequenti. Vengono fatti sondando persone in tutti gli Stati Uniti e chiedendo se voterebbero Trump o Harris. È in questi sondaggi che nelle ultime settimane Kamala Harris ha sorpassato Donald Trump dopo mesi in cui Biden ha arrancato a distanza più o meno marcata. Per quanto interessanti per dare un’idea della popolarità dei candidati questi sondaggi non sono i più significativi. Negli Usa non diventa presidente chi prende più voti su tutta la nazione ma chi conquista un numero sufficiente di Stati che in base alla popolazione danno la maggioranza dei grandi elettori . Chi vince nella popolosa California, ad esempio, si prende i suoi 54 elettori. Per diventare presidente ne servono 270. Non conta solo quanti voti totali si ottengono, ma come sono distribuiti sul territorio. Se un candidato stravince in alcuni Stati e perde di misura negli altri, potrebbe avere molti più voti su base nazionale ma perdere le elezioni. Hillary Clinton nel 2016 ebbe 3 milioni di voti più di Trump. Ma si fermò ad appena 227 grandi elettori. Sondaggi negli Stati decisivi Il paragrafo precedente ha una conseguenza evidente: i sondaggi vanno letti Stato per Stato. In molti casi non ci sono molti dubbi su chi vincerà a novembre. Oggi è quasi fantascienza pensare che Harris possa perdere nello Stato di New York. Ed è inimmaginabile che Trump venga sconfitto in Wyoming . A decidere le elezioni sarà allora un numero di Stati “in bilico”, che potrebbero oscillare da una parte o dall’altra . Il loro numero dipende da cosa si intenda con l’espressione “in bilico” in base alle elezioni precedenti, al margine di errore nei sondaggi, ai mutamenti demografici. Al momento gli Stati decisivi più gettonati sono 7: Wisconsin, Michigan, Pennsylvania, North Carolina, Georgia, Nevada e Arizona. Ecco perché i sondaggi in questi Stati hanno tanto rilievo. Trump, fino a quando si è confrontato con Biden, è stato sostanzialmente sempre in vantaggio in tutti e 7. Con Kamala Harris il quadro sta mutando rapidamente. Ad oggi la vicepresidente è in vantaggio nella media dei sondaggi in Wisconsin e Michigan e ha ridotto il distacco a meno di un punto in Pennsylvania. Con questi tre Stati, è bene ricordarlo, Kamala Harris avrebbe ottime chance di vincere il 5 novembre. Gli Stati in bilico, per definizione, sono quelli in cui il distacco tra i candidati è più piccolo del margine di errore dei sondaggi. Ecco perché è impossibile avere qualsiasi certezza fino al giorno del voto. Sondaggi a 2, sondaggi a 5 Spesso si trascura il fatto che i candidati alle presidenziali USA non sono solo due. I candidati minori possono giocare un ruolo negli Stati in cui la situazione è in bilico. Il terzo incomodo più consistente, almeno nei sondaggi, è oggi Robert Francis Kennedy, figlio di Robert e nipote di JFK. Ma anche la verde Jill Stein e Cornell West potrebbero giocare un ruolo pur essendo accreditati in media di preferenze sotto il punto percentuale. I sondaggi a 5, per quanto meno frequenti, vengono regolarmente commissionati e pubblicati. E al momento ci restituiscono un quadro non troppo diverso da quelli Trump/Harris. Come detto, bastano però pochi decimali in pochi stati chiave per poter fare la differenza. E nessun sondaggio può far previsioni affidabili su scarti tanto ridotti.

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