La scommessa di Putin sul Trump 2.0

Nel giorno in cui si apre la seconda udienza del Wall Street Journal Evan Gershkovich, detenuto in Russia dal 29 marzo 2023 a Ekaterinburg con l’accusa di spionaggio, la tensione diplomatica tra Russia e Stati Uniti si anima. Mancano ormai poche settimane a alle elezioni presidenziali di novembre in cui, secondo molti osservatori, il Cremlino punta apertamente sulla rielezione di Donald Trump. Putin tifa Trump? Inizialmente, per questa tornata elettorale, la preferenza di Putin non era ricaduta su Trump, almeno a parole. A febbraio, il capo di Stato russo aveva dichiarato di preferire una rielezione di Joe Biden alla Casa Bianca. L’asprissima rivalità russo-americana e il confronto in Ucraina non cancellano, per Putin, il fatto che il presidente uscente sia un veterano della politica plasmato durante la Guerra Fredda nella visione del mondo e del balance of power, garanzia di quella “prevedibilità” dei rapporti tra Mosca e Washington auspicata dal Cremlino. Ritiratosi Biden dalla corsa, è dunque naturale per Putin tornare alle origini e al sostegno ad un Trump 2.0. Il tutto, ovviamente, su presupposti ben diversi, e certamente meno ambiziosi di quelli che accompagnarono, sulla scia del Russiagate americano, The Donald alla Casa Bianca nel 2016. Ai tempi, Putin sperava che l’arrivo di un presidente ben disposto nei suoi confronti potesse creare un rapporto costruttivo partendo dalla comune ostilità per il multilateralismo, dalla ricerca di un’intesa sulla lotta al terrorismo e dalla convergenza con Trump sul sostegno ai valori conservatori e patriarcali. Il duo Trump-Vance mollerà Kiev? Oggi la scomessa di Putin si basa su un assunto: che con il candiato conservatore arrivi al potere negli Usa un Partito Repubblicano dominato dall’ala “Maga” vicina a Trump, istintivamente più favorevole a recedere dal principale dossier di politica estera, quello relativo al sostegno di Washington a Kiev. In quest’ottica, di fronte a una Kamala Harris candidata democratica che ha più volte criticato la vicinanza tra Trump e Putin, per quest’ultima la scelta è obbligata. A rafforzare la sua convinzone è intervenuto anche il fattore ‘ticket’ e la nomina del senatore dell’Ohio J.D. Vance come candidato vicepresidente. Vance, 40 anni, è considerato da molti osservatori un convinto isolazionista e ha più volte dichiarato che l’Ucraina “non è in cima” a i suoi pensieri. Questa ostilità - figlia della volontà di corteggiare il consenso delle periferie americane, politiche ed esistenziali, contrarie ad un interventismo ritenuto costoso e non funzionale agli interessi americani e animate da un “sacro egoismo” che respinge i presunti sprechi di denaro dell’assistenza militare ed economica a Kiev - non ha a che vedere con uno strutturale sostegno a Vladimir Putin, ma di certo torna a suo totale vantaggio. La manovra politica del Cremlino si fonda su un’altra convizione: l’idea che il tycoon possa tornare a sfibrare una Nato che è stata resa “nuovamente grande”, come ha dichiarato l’ex direttore della Cia David Petraeus, dall’invasione dell’Ucraina, il cui effetto collaterale inatteso è stato di rivitalizzarne la capacità di deterrenza. Sul piano politico, inoltre, sia Trump che Putin inoltre attingono a una profonda corrente di rabbia, risentimento e nostalgia per un passato immaginario che era ordinato, prevedibile e patriarcale. In questa ‘era perduta’, gli uomini erano a capo delle famiglie delle nazioni; le donne obbedienti e decorative. I bianchi erano superiori ai non bianchi e le linee dei confini culturali erano chiaramente demarcate. Da questa prospettiva, i sostenitori di Putin in Russia e i sostenitori di Trump negli Stati Uniti sono alleati ideologici. Una visione comune del mondo Al di là della visione ideologica, però, quello che avvicina Trump a Putin è una concezione comune delle relazioni internazionali che il tycoon concepisce come transazionali riflettendo una sensibilità comune al Cremlino e a Pechino. Da tempo ormai il presidente russo ha iniziato a sostenere la necessità di una nuova architettura di sicurezza che abbracci Europa e Asia per sostituire “l’obsoleto ordine mondiale” guidato dagli Stati Uniti, con un ruolo centrale per la Russia. In maniera diversa, ma in qualche modo complementare, Trump sostiene un ritorno a un'era di sovranità statale senza vincoli. Smantellerebbe o si defilerebbe dalle organizzazioni internazionali e sovranazionali di ogni tipo tornando alla politica multipolare delle "grandi potenze", in cui le alleanze cambiano in base alle convenienze. Trump ha insistito sul tema più volte: gli alleati dell'America possono essere "nemici" su alcune questioni e "amici" su altre, senza alcuna lealtà sovraordinata basata su finezze come un impegno condiviso per la democrazia liberale. Come ha ribadito nel suo discorso alla convention repubblicana, il tycoon pensa che il pianeta sia "sull'orlo della Terza guerra mondiale” e che lui metterebbe fine “a ogni singola crisi internazionale creata dall'attuale amministrazione” inclusa la guerra in Ucraina. Il Cremlino spera che l'offerta di un grande accordo per rimodellare la sicurezza globale possa piacere a Trump, un notoriamente abile nel trattare con gli altri. Quell’accordo passa anche per le regioni orientali dell’Ucraina in cui l’esercito russo avanza a fatica dopo aver subito enormi perdite. Trincerandosi per altri quattro mesi, il Cremlino spera che gli elettori americani possano aiutarlo a raggiungere quella vittoria che non è riuscito a ottenere sul campo di battaglia.

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