Dieci anni dopo, la Libia è ancora un paese allo sbando

Nella primavera del 2014 la Libia fu scossa dall’“Operazione Dignità” lanciata dal generale della Cirenaica Khalifa Haftar dopo un’elezione duramente contestata da una parte consistente della leadership del paese. Ebbe inizio la seconda guerra civile libica, dopo le sanguinose rese dei conti seguite alla morte di Muammar Gheddafi. Dieci anni dopo, la Libia è ancora un paese in crisi, diviso e stravolto dalle tensioni. L'operazione "Alba Libica" Poco dopo il lancio dell’operazione di Haftar nel 2014, in Libia si tennero nuove elezioni che ancora una volta, complice un’affluenza al 18%, vennero giudicate da alcuni non valide. Fu allora che, in risposta a Haftar, le forze tripolitane di matrice islamista lanciarono a loro volta un’operazione militare col nome di “Alba Libica”. Lo scontro si risolse solo mesi dopo, 16 gennaio del 2015, quando le due fazioni firmarono una tregua la cui conseguenza più immediata fu la creazione di due governi separati: uno con sede nella storica capitale Tripoli e l’altro invece a Tobruk, nella regione della Cirenaica. Il Governo di Accordo Nazionale Fu allora che la comunità internazionale, attraverso la Missione delle Nazioni Unite per la Libia , spinse i delegati dei due governi libici a firmare in Marocco l’accordo di Skhirat per la creazione un Governo di Accordo Nazionale, presieduto dal moderato Fayez al-Serraj per sei lunghi anni. Ma anche in quel periodo il paese è stato attraversato tensioni e conflitti armati, a partire da quelli tra il governo centrale di Tripoli e la “Camera dei Rappresentanti”, organismo fedele a Haftar con sede in Cirenaica. L’azione più violenta risale all’aprile del 2019, quando con il suo esercito – coadiuvato dai mercenari russi del Gruppo Wagner – Haftar tentò un assedio Tripoli che però, grazie all’intervento turco, non andò a buon fine. Cessate il fuoco In quegli anni la crisi libica divenne un tema centrale nelle discussioni alle Nazioni Unite, del Consiglio Europeo e dell’Unione Africana, ma senza risultati. Anche in seguito ai ripetuti incontri tra Russia e Turchia, solo nell’ottobre del 2020 si ottenne che una Commissione Militare Congiunta con rappresentanti militari delle due fazioni libiche raggiungesse un accordo di cessate il fuoco permanente. Fu un momento di relativa calma, che permise alla comunità internazionale di preparare il terreno per un Forum di Dialogo Politico in cui rappresentanti politici, militari e della società civile libica hanno potuto incontrarsi prima in Tunisia e poi a Ginevra, in territorio neutrale, al fine di selezionare un’autorità esecutiva condivisa. Il governo di unità nazionale mai visto La scelta cadde su Abdulhamid al-Dbeibah nominato primo ministro all’inizio del 2021, duMohammed al-Menfi come Presidente del Consiglio presidenziale, e Musa al-Khoni e Abdullah al-Lafi , nuovi membri del Consiglio presidenziale. Proprio quel Governo di Unità Nazionale avrebbe dovuto essere un organismo transitorio con lo scopo di traghettare il paese alle elezioni nazionali per il 24 dicembre 2021. Ma quelle elezioni non sono mai avvenute, aprendo così un altro periodo di profonda instabilità politica, con la creazione di un nuovo esecutivo in Cirenaica– autoproclamatosi “Governo di Stabilità Nazionale” ma ostile al governo di Tripoli –, prima presieduto dall’ex ministro degli Interni tripolitano, Fathi Bashagae oggi da Osama Hamada, tecnocrate di origine cirenaica. Crisi ambientale, economica e politica In sostanza, in Libia le elezioni nazionali non si tengono più dal 2014. Si sono succeduti governi non direttamente scelti dalla popolazione, e la Camera dei Rappresentanti è la stessa da allora. Dieci anni dopo lo scoppio della seconda guerra civile libica, nel paese la democrazia sembra ancora un sogno remoto, a prescindere dagli sforzi compiuti e dal sincero desiderio dei cittadini libici.I progressi fatti sono pressoché nulli: anche nell’economia ancora troppo dipendente dai ricavi del petrolio e con un’insufficiente iniziativa privata. La Libia di oggi è sommersa di armi, che proliferano in ogni dove malgrado l’embargo internazionale che dura da tredici anni. E con le armi proliferano i gruppi armati che hanno creato un ambiente tossico e hanno potuto facilmente approfittare dei disastri causati dal cambiamento climatico negli ultimi anni. La desertificazione e le alluvioni, come quella di Derna del 10 settembre 2023 con decine di migliaia di morti e dispersi, non fanno altro che acuire l’insoddisfazione dei cittadini e quindi le tensioni sociali. Incuranti di tutto ciò, i leader delle varie fazioni libiche che hanno il controllo del paese, si arroccano sulle proprie posizioni e difendono i propri privilegi, come dimostra per esempio lo strapotere che ancora oggi detengono figure come Haftar e la sua famiglia. “La famiglia Haftar ha assunto il controllo della maggior parte della vita sociale ed economica della Libia orientale”, spiega il gruppo di esperti sulla Libia delle Nazioni Unite in un rapporto di quasi 300 pagine pubblicato meno di un anno fa. La Libia è un paese allo sbando, in cui le milizie non solo vivono nella più totale impunità, ma sono anche in grado di influenzare la politica e l’economia nazionale.

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