Giochi Parigi 2024, perché la tregua olimpica non ferma (e non ha mai fermato) le guerre

Le Olimpiadi non hanno mai fermato le guerre. È accaduto, invece, come durante le due guerre mondiali, che sia stata la guerra a fermare le Olimpiadi. Difficile, dunque, pensare che questa volta le cose potessero andare diversamente, soprattutto alla luce delle tante crisi in atto e della frammentazione del sistema internazionale davanti ai conflitti in Ucraina e nella Striscia di Gaza. L’idea di pace è un elemento ricorrente in tutte le edizioni dei giochi moderni, evocata nei discorsi, rappresentata negli atti simbolici e negli stessi anelli idealmente intrecciati a raffigurare la pacifica unione tra gli atleti dei cinque continenti. Rimane però un concetto astratto, che nella pratica non trova un’applicazione concreta. Non sarà così per le Olimpiadi di Parigi 2024, per lo meno. La Trêve Olympique Ogni due anni, le Nazioni Unite, su invito del paese che ospiterà l’edizione seguente dei giochi estivi o invernali, adottano una risoluzione ad hoc, la Trêve Olympique. Lo scorso 21 novembre è stata adottata quella per i giochi in corso: 118 voti favorevoli e 2 sole astensioni da parte di Siria e Russia. A maggio di quest’anno il principio della tregua è stato rilanciato dal presidente francese Emmanuel Macron con il sostegno del leader cinese Xi Jinping, uno dei pochi ad avere ancora un certo grado di influenza su Putin. Anche in questo caso la tregua olimpica è rimasta lettera morta e le Olimpiadi di quest’anno si affiancano alle cronache delle crisi che logorano il mondo. Olimpiadi e doppi standard Ironia della sorte, l’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio del 2022, fu lanciata proprio durante il periodo di tregua per le Olimpiadi invernali di Pechino. In quel caso la risposta e la condanna da parte del Comitato Olimpico Internazionale furono immediate. Russia e Bielorussia furono escluse dalla maggior parte degli sport internazionali e, lo scorso ottobre, il Comitato Olimpico Russo è stato sospeso per aver annesso le organizzazioni sportive di quattro regioni ucraine parzialmente occupate. Anche se Mosca e Minsk sono state formalmente escluse da Parigi 2024, ciò non significa che gli atleti dei due paesi non possano partecipare. Nel farlo però, aderiscono ai giochi come individui indipendenti e non come delegazione del loro paese. Tutto questo è stato definito da Putin come “una dimostrazione del pregiudizio occidentale del CIO, in contrasto con i principi di neutralità che dovrebbero guidare l’organizzazione”. I giochi tra due guerre A complicare la posizione del Comitato Olimpico è arrivata la guerra in Medio Oriente: in questo caso si è cercato di mantenere la neutralità attirando all’organismo le ormai ben note accuse di “doppio standard”. Anche se quanto accade nella Striscia di Gaza non è assimilabile al conflitto in Ucraina, questo non vuol dire che non sollevi questioni morali e giuridiche complesse. Israele non ha violato la tregua olimpica e il suo Comitato Olimpico Nazionale non ha annesso nessuna organizzazione sportiva palestinese, ma la sua rappresaglia per l'attacco sanguinoso di Hamas del 7 ottobre ha distrutto le sedi delle principali istituzioni sportive palestinesi e causato la morte di importanti figure sportive, tra cui l'allenatore della nazionale di calcio. Ma soprattutto, le operazioni dell’esercito israeliano e i bombardamenti indiscriminati hanno ormai portato il numero delle vittime nella Striscia a quasi 40mila persone e l’intera popolazione dell’enclave – due milioni e 300mila persone – sull’orlo della carestia. Per questo esponenti della società civile e organizzazioni internazionali hanno chiesto di escludere Israele dai Giochi Olimpici, con l’accusa di apartheid nei confronti dei palestinesi. Quando fu escluso il Sudafrica dell'apartheid La richiesta non sarebbe senza precedenti storici: al Sudafrica dell'apartheid, infatti, fu proibita la partecipazione agli eventi olimpici del 1964 e del 1968. E nel maggio 1970, il paese fu espulso anche dal Comitato Olimpico. L'esclusione fu una conseguenza della sua violazione della prima regola della Carta Olimpica, che proibisce chiaramente “la discriminazione contro qualsiasi paese o individuo basata su razza, religione o affiliazione politica”. Gli atleti di Pretoria furono riammessi solo dopo la fine dell'apartheid nel 1991. Nulla di tutto ciò, però, sembra possa verificarsi per il Medio Oriente, per cui il CIO ha sempre ribadito chiaramente la volontà di rimanere neutrale, citando l'attuazione da parte dell’organizzazione della "soluzione dei due stati", un'eredità del processo di pace di Oslo del 1993 che ha fatto coesistere il Comitato Olimpico Nazionale israeliano e palestinese dal 1995. La questione della sicurezza Anche in relazione alle crisi internazionali in corso, la sicurezza di atleti e spettatori diventa una questione ancora più pressante e delicata. Tra i tanti scenari possibili, due in particolare suscitano le preoccupazioni di Parigi: cyber-attacchi e terrorismo. La prima minaccia chiama direttamente in causa la Russia, che negli ultimi anni ha intensificato le sue campagne di disinformazione e attacchi hacker. La seconda, invece, è resa più attuale che mai dal conflitto in Medio Oriente, e dalla solidarietà che l’Iran, Hezbollah e altri movimenti islamisti radicali hanno nei confronti di Hamas e della causa palestinese. Dal 2015 in poi, la Francia ha subito diversi attacchi sul suo territorio e l'assalto armato alla sala concerti di Mosca il 22 marzo, in cui sono morte 144 persone, ha riportato sotto i riflettori lo Stato Islamico e la possibilità che quest’ultimo o sue diramazioni possano progettare qualcosa di simile nella capitale francese. C’è poi un tragico precedente che, a maggior ragione alla luce di quanto sta accadendo oggi a Gaza, non può lasciare indifferenti: nel 1972, il massacro degli atleti israeliani da parte di un gruppo palestinese alle Olimpiadi di Monaco inaugurò un'era di terrorismo internazionale. In un contesto internazionale sempre più caotico e in subbuglio purtroppo, la tregua olimpica può esibire un palmares davvero molto scarno.