Stallo alla Venezuelana, la rielezione di Maduro e i 25 anni di governo chavista

È lo scenario più preoccupante quello delineatosi all’indomani delle elezioni presidenziali in Venezuela, la cui vittoria è rivendicata – tra dubbi e sospetti – dal presidente in carica Nicolas Maduro. Con l'80%dei voti scrutinati, il Consiglio nazionale elettorale ha assegnato la vittoria al capo di Stato, che avrebbe ottenuto più di 5 milioni di preferenze rispetto ai 4,4 milioni del candidato di opposizione, Edmundo González Urrutia, definendo i risultati "irreversibili". Lo ha fatto, però, senza consegnare la copia delle schede raccolte e mentre Maduro affermava che il Consiglio elettorale è stato hackerato da “un paese straniero” e che questo ha causato un ritardo nella pubblicazione dei risultati del voto. “I demoni e i diavoli – ha detto il presidente - non volevano che il totale dei voti venisse conteggiato”. Immediata l'accusa di brogli da parte del fronte dell’opposizione che ha dichiarato che non riconoscerà l'esito elettorale. Perplessità è stata espressa da vari paesi ad eccezione degli alleati stretti di Caracas, dall’Iran alla Cina. E se anche diversi leader latinoamericani e non hanno espresso dubbi sui risultati, su tutti pesa soprattutto la “preoccupazione” espressa dagli Stati Uniti. Osservatori indipendenti hanno descritto le elezioni come le più arbitrarie degli ultimi anni, anche per gli standard di un regime autoritario iniziato con il mentore e predecessore di Maduro, Hugo Chávez. Una svolta inattesa I risultati parziali del voto e la presa di posizione del leader chavista sono arrivati come una doccia fredda: il voto era stato il punto di approdo di un lungo processo di riavvicinamento con Washington per superare il regime di sanzioni e consentire il ritorno del paese sui mercati globali. La svolta si era determinata due anni fa quando, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’esigenza di trovare nuovi fornitori di energia aveva spinto il mondo a guardare a Caracas e al suo petrolio con occhi diversi. Il voto di domenica avrebbe dovuto sancire la normalizzazione e l’inizio di un nuovo corso. E la presenza di osservatori internazionali avrebbe dovuto suggellare la correttezza del processo. Non è andata così. Al momento, il Venezuela ha fallito l'obiettivo: non è riuscito a convincere l’Occidente di avere rispettato gli impegni. Maduro è al bivio: o accetta di ricontare rischiando, probabilmente, di doversi fare da parte o decide di far saltare tutto rimanendo aggrappato al potere. Il presidente ha dedicato la sua vittoria a Chávez, che lo ha nominato suo successore poco prima di morire nel 2013. "Lunga vita a Chávez. Chávez è vivo!" ha urlato Maduro. Un'economia al collasso La campagna di González Urrutia, ex ambasciatore di 74 anni aveva generato una rara ondata di ottimismo nella speranza che potesse aiutare a far uscire il paese da uno dei peggiori crolli economici in tempo di pace della storia moderna. In circa un decennio l'economia del Venezuela – tra i maggiori esportatori al mondo di petrolio - si è contratta dell'80% e quasi 8 milioni di persone, quasi un terzo della popolazione, hanno abbandonato il paese. Gli antichavisti accusano Maduro di aver trascinato il Venezuela in una crisi economica e sociale paralizzante, e di aver trasformato il paese in uno stato sempre più repressivo in cui gli oppositori politici vengono sistematicamente incarcerati e torturati. All’indomani dell’annuncio della vittoria di Maduro, l’opposizione si è affrettata a contestare i risultati. “I venezuelani e il mondo intero sanno cosa è successo” ha detto González mentre la leader dell'opposizione, María Corina Machado, che aveva sostenuto la campagna di González dopo essere stata esclusa a sua volta dalla corsa, ha respinto l’esito sostenendo che l’opposizione ha vinto in ogni singolo stato. “Abbiamo vinto e lo sanno tutti”, ha detto, sostenendo che González dovrebbe essere considerato il presidente eletto del paese. Proteste per le strade di Caracas Mentre Machado si rivolgeva alla folla, migliaia di dissidenti picchettavano le strade di Caracas: nelle ultime ore, la sorpresa per l’esito del voto si è tramutata in rabbia e in diverse città del paese le manifestazioni sono sfociate in scontri violenti con le forze di sicurezza e i paramilitari pro-Maduro. Sorprendentemente, molti dei manifestanti provenivano da vaste baraccopoli sulle colline alla periferia di Caracas, da sempre considerate roccaforti del movimento chavista che governa il Venezuela da 25 anni. Per tutto il giorno i social media si sono riempiti di resoconti di marce partite dalle comunità povere della città e di scontri con le forze di sicurezza e bande di motociclisti pro-Maduro, note come colectivos, filmate mentre sparavano in aria. Almeno tre statue di Hugo Chávez sarebbero state abbattute in diverse località, e molti sui social hanno paragonato quelle scene alle immagini drammatiche di una statua di Saddam Hussein abbattuta nel centro di Baghdad durante la guerra in Iraq. Nello stato di Portuguesa, i manifestanti sono stati filmati mentre vandalizzavano un cartellone pubblicitario di propaganda con una fotografia di Maduro e uno slogan che prometteva “più cambiamenti e trasformazioni”. Gli alleati di Maduro - che attribuiscono la causa delle difficoltà economiche del Venezuela alle sanzioni statunitensi - hanno indetto nei prossimi giorni delle manifestazioni a sostegno del presidente con il rischio di infiammare ulteriormente le tensioni nelle strade di Caracas.

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