Fare surf nelle zone di guerra, il documentario sui "surfisti-soldati" in Liberia

Mondo

Chiara Piotto

'Water Get No Enemy' è un racconto sullo sport come mezzo per superare i traumi della guerra. Damien Castera, surfista e co-autore del progetto, ci ha raccontato come tutto è nato da un piccolo villaggio sull'Oceano, "con le onde più belle d'Africa"

“Lo sport può promuovere l’uguaglianza, rinforzare il senso di comunità, accelerare i cambiamenti sociali”. E i ragazzi in Liberia hanno scelto il surf. A parlarci del documentario Water Get No Enemy, uscito a gennaio 2021 e disponibile su iTunes, è uno dei due autori, Damien Castera. Damien è un surfista professionista francese e il suo lavoro l’ha portato in giro per il mondo. In Liberia però è atterrato con un obiettivo diverso: realizzare – insieme ad Arthur Bourbon, anch’egli surfista oltre che regista – un documentario sul surf come strumento per superare i traumi della guerra.

Un villaggio di surfisti in Liberia

Il racconto parte da Robertsport, villaggio di 4mila abitanti sull’Oceano Atlantico, a pochi chilometri dalla Sierra Leone. Durante l’intervista, Damien parla delle “onde tra le più belle d’Africa” pensando a quella cittadina rasa al suolo dalla guerriglia nel 2003. Nella piccola baia i bambini non hanno molto con cui giocare: il surf diventa un’occasione di emancipazione dalla storia di dolore e tragedia che ereditano.

Il surf per dimenticare la guerra

“Dopo aver realizzato video sugli sport da tavola in varie zone del mondo, volevo creare un documentario che mescolasse storia, politica e sport. Avevo sentito parlare di una piccola comunità di surfisti nel Nord della Liberia, che dopo anni di guerra provava a ricominciare dal surf. Era la storia giusta”, racconta l’autore.

Liberia surf

"Uno strumento di resilienza"

Le riprese sul posto sono durate un mese, il lavoro complessivo un anno e mezzo: “Prima di tutto ho studiato in profondità la storia del Paese. Abbiamo fatto tutto in due, insieme ad Arthur Bourbon, dalla scrittura al montaggio. Essere una troupe piccola ci ha permesso di entrare in contatto più facilmente con i protagonisti, creando legami veri con loro. In Liberia il surf è diventato uno strumento di resilienza, utilizzato per superare i traumi della guerra soprattutto dai più giovani. Già si stanno formando i primi campioni emergenti”.

"Bambini surfisti, non soldati"

Tra le sfide da affrontare, anche quella di far superare al pubblico i pregiudizi sulla realtà liberiana: “Purtroppo da quando la guerra è finita la Liberia non ha goduto di una buona reputazione sui media internazionali. La ricostruzione dell’immagine stessa del Paese, nella coscienza collettiva, è difficile; tutti i film e i documentari si concentrano esclusivamente sulla guerra, sulla tragedia, sull’orrore vissuto dai suoi cittadini. Noi volevamo raccontare un altro lato della storia, più ottimista, meno sensazionale, che mettesse al centro la voglia di rinnovamento e ricostruzione. Da lì il sottotitolo, 'Child surfers not child soldiers', ovvero 'bambini surfisti, non soldati'”.

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