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Delitto Macchi, assolto Stefano Binda: "Ha testimoniato la scienza"

Lombardia
Lidia Macchi (Fotogramma)

I giudici della prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Milano hanno depositato le motivazioni della sentenza dello scorso 24 luglio. "La valutazione globale degli elementi accusatori - scrivono - consente di affermare l'estraneità del 51enne all'omicidio"

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I giudici della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano, presieduta da Ivana Caputo, hanno depositato le motivazioni della sentenza con la quale hanno assolto, lo scorso 24 luglio, il 51enne Stefano Binda dall’accusa di aver ucciso, nel gennaio del 1987, la studentessa Lidia Macchi, di 21 anni (LA SENTENZA). A favore dell’imputato, scrivono i magistrati, “ha testimoniato la scienza, che ha introdotto negli atti processuali un dubbio molto più che ragionevole circa la sua estraneità rispetto al componimento poetico, e, quel che più conta, rispetto al delitto”. Il riferimento è alla poesia 'In morte di un’amica', nella quale si pensa venga descritto l’omicidio e che gli inquirenti hanno sempre attribuito a Binda.

Le motivazioni

La scienza, aggiungono i giudici, ha dato "'voce processuale' alla vittima, ad onta del tempo trascorso e degli errori compiuti per i quali non si può fare altro che esprimere rammarico e fare ammenda" e ha dato anche "un aiuto decisivo e dirimente anche all'imputato Stefano Binda". Infatti, secondo i magistrati non è Binda "ad avere lasciato tracce biologiche sulla busta spedita a casa Macchi per recapitarvi 'In morte di un'amica' e non è lui ad avere lasciato tracce biologiche sul corpo martoriato della persona offesa". Nelle motivazioni si legge anche che la "valutazione globale" degli elementi accusatori "non solo non consente di attribuire l'omicidio di Lidia Macchi a Stefano Binda con un elevato grado di razionalità, ma, al contrario (…) porta ad affermare a suo favore la ragionevole certezza della sua estraneità al delitto". Per questo motivo, continuano i giudici, è una "decisione di giustizia non più procrastinabile" liberare Stefano Binda da ogni accusa.

In primo grado fatti ascritti ad "autore ideale"

Secondo la Corte, inoltre, la sentenza di primo grado, con la quale il 51enne era stato condannato all'ergastolo, è stata emessa dopo "un processo dibattimentale che si è distinto non già per avere accertato fatti (di reato), desumendone le modalità di svolgimento da indizi gravi, precisi e concordanti, bensì per avere dedotto fatti di reato ascrivendoli a un ‘autore ideale' (poi adattato all'odierno giudicabile) attraverso presunzioni, talune anche logiche e plausibili in astratto, altre molto meno perché portato di mera suggestione, ma, in ogni caso, tutte prive di concretezza e supporto probatorio".