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Delitto Macchi, teste rivela presunto autore lettera alla famiglia

Lombardia

Per gli inquirenti quel testo è stato scritto da Stefano Binda, condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio del 1987. Oggi il legale Piergiorgio Vittorini ha riferito in aula le parole di un suo cliente: “Ho scritto io la lettera” 

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A trent’anni dalla morte di Lidia Macchi, 21enne di Comunione e Liberazione uccisa con 29 coltellate nel 1987 a Cittiglio, nel Varesotto, un cliente dell’avvocato Piergiorgio Vittorini avrebbe confessato di essere l’autore della lettera recapitata alla famiglia della ragazza nel giorno del funerale: lettera che conterrebbe una descrizione dell’omicidio e che, per gli inquirenti, è stata scritta da Stefano Binda, eroinomane legato agli ambienti ciellini condannato in primo grado all’ergastolo dalla Corte d’Assise di Varese nell’aprile 2018.

Le parole del cliente

Sentito come testimone nel processo di secondo grado a carico di Stefano Binda, Vittorini ha riferito le parole di un proprio cliente, appellandosi al segreto professionale per non rivelarne il nome. Il segreto mi sta "lacerando l'anima, ho una famiglia, ho dei figli. Ho scritto io la lettera inviata alla famiglia di Lidia Macchi", avrebbe detto il cliente. Nella sua testimonianza questa mattina in aula, il penalista ha riferito che una persona si sarebbe presentata nel suo ufficio, alla fine del febbraio 2017, sostenendo di avere scritto la missiva come forma di "protesta" contro una morte ingiusta. "Non conoscevo Lidia Macchi, ma condividevamo lo stesso contesto di Comunione e Liberazione a Varese", avrebbe detto il cliente a Vittorini. Cliente che sarebbe anche "una persona laureata, con un alto livello professionale". Secondo la testimonianza del penalista, il suo cliente gli avrebbe detto di non essersi mai presentato prima alla polizia perché non è in grado di fornire un alibi per la sera del delitto. "In quel periodo ero a Milano - ha detto - ma non riesco proprio a ricordare dove fossi la sera del delitto".

Parte civile chiede la ricusazione dei giudizi

Ha chiesto la ricusazione del collegio della Prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Milano, presieduta da Ivana Caputo, per "manifesta anticipazione di giudizio", l'avvocato Daniele Pizzi, legale di parte civile nel processo di secondo grado a carico del 51enne Stefano Binda. "Non ci sono le condizioni per arrivare alla conclusione finale dinanzi a questo collegio giudicante", ha detto il legale dopo l'udienza parlando con i giornalisti. "Auspichiamo che il presidente della Corte d'Appello intervenga - ha aggiunto l'avvocato - perché questa Corte non si è mai pronunciata sulle questioni sollevate sin dalla prima udienza, ha continuato ad anticipare che il 24 luglio si sarebbe svolta la discussione". Secondo il legale, si chiederebbe alle parti di concludere la prossima udienza "senza avere sciolto la riserva sulla perizia grafologica e sulla perizia merceologica, sull'acquisizione documentale chiesta dalla procura generale, e dando un termine alle parti di pochi giorni per preparare le discussioni".