Tintoria e gli altri, cosa piace dei vodcast che fanno (anche) ridere

A volte alcuni format cambiano in modo del tutto naturale contenitore. Si spostano da uno spazio all’altro, con transizioni più o meno mediate e più o meno lineari. Pensiamo all’intervista. Fino a qualche anno fa, non c’era altro in tv . Con il tempo le scenografie sono state ripulite di qualunque fronzolo e di qualunque eccesso, e ci si è concentrati su temi particolari, più studiati e approfonditi. Su Youtube c’è stata una vera e propria proliferazione di podcast/vodcast. E si sono creati degli appuntamenti che sono diventati oramai imprescindibili nella vita quotidiana delle persone. Un esempio su tutti, e ne parlava anche Claudio Giunta su Il Foglio, è “Tintoria”. Condotto da Daniele Tinti e Stefano Rapone, due esponenti della generazione di mezzo di stand-up comedian italiani, è una chiacchierata distesa, che tocca argomenti diversi senza nessuna pretesa. Tinti e Rapone, dopotutto, non nascono come intervistatori. E quindi non sentono la necessità di dimostrare di sapere tutto dell’altra persona. Vogliono scoprirlo e vogliono farlo insieme al loro pubblico, mentre sono sul palco di un locale romano, a bere birra e a scherzare. “Tintoria” ha delle rubriche fisse e anche questo ha contribuito al suo successo. Ma c’è dell’altro. C’è, lo ripetiamo, la freschezza – di più: l’immediatezza – di linguaggio che usano Tinti e Rapone. Arriva l’ospite e si inizia dalla domanda più semplice di tutte, posta da Rapone: come stai? Che hai fatto oggi? E da lì è tutto, o quasi, in discesa. Tinti e Rapone non vogliono mettere in difficoltà il loro ospite. Ci sono dei momenti, e si vede perché Tinti lascia più spazio a Rapone, in cui è veramente la curiosità a guidarli. Ma in quanto format figlio di format anche “Tintoria” ha delle regole – non scritte, per carità – da rispettare: non è la durata, ma è il modo in cui vengono scanditi i vari segmenti. Introduzione, domanda di rito, chiacchierata, rubriche finali . Già questa cosa, parlare di cacca, è incredibile. Non è un tema tabù, non c’è nessun divieto; eppure normalizzare una cosa del genere, accettandola per ciò che è, è una piccola, grande rivoluzione. E non solo per la televisione, ma pure per Youtube. “Tintoria” fa quasi scuola a sé. Una volta c’era anche “Cachemire”, con Edoardo Ferrario e Luca Ravenna, altri due stand-up comedian. Ma la verità è che, anche in questo caso, è difficile parlare di un format preciso. “Tintoria” ha due presentatori, altri podcast uno solo. “Tintoria” punta al divertimento totale, dei suoi presentatori, degli ospiti e del pubblico; altri podcast, invece, provano a fare un approfondimento più – diciamo così – puntuale e lineare. “Tintoria” ha un valore aggiunto se visto in video, con tutte le pause, le facce e le espressioni delle persone coinvolte. Altri podcast, invece, sono profondamente radicati nella dimensione sonora e non hanno bisogno di particolari sostegni. “Dicono di te” di Malcom Pagani è la dimostrazione che, nonostante tutto, nonostante i tempi dilatati, nonostante gli impegni sempre più pressanti, le persone vogliono – e possono – ritagliarsi un’ora, un’ora e mezza, per ascoltare conversazioni distese e pacate, senza urla, senza insinuazioni e senza la ricerca costante di notizie e titoli . “Tintoria” rappresenta l’apice di una certa autoproduzione, che si è fatta sempre più professionale , con mezzi e risorse nuove e comunque legata a una forma più sporca e volutamente imperfetta . Come numeri, non ci avviciniamo nemmeno lontanamente a quelli della televisione – nemmeno di una rete piccola. Gli ultimi episodi di “Tintoria” hanno totalizzato rispettivamente 230mila, 160mila, 450mila e 735mila visualizzazioni . Eppure, grazie alle clip e al passaparola e agli altri social, “Tintoria” è riconosciuto e conosciuto: gli ospiti che ci vanno recuperano le vecchie puntate; magari seguono la programmazione settimanale e sanno che, alla fine, gli verrà chiesto di dittatori, marjuana e cacca. Gli altri podcast/vodcast, quindi fortemente intenzionati ad avere una doppia versione, sia audio che video, sono, appunto, un’altra cosa. E sono tantissimi e non accennano a diminuire, anzi . La televisione vive di cicli. E la stessa cosa vale per altri linguaggi, come, appunto, il podcast. Ciò che serve, probabilmente, è riuscire a trovare non solo una propria riconoscibilità ma pure una cadenza precisa – insomma, come succedeva una volta con una certa programmazione del piccolo schermo. “Tintoria”, come ha scritto Giunta, è un programma da bolla, per un pubblico verticalissimo che vuole parlarne con i suoi amici quando l’ha visto e che vuole dire cosa ha trovato divertente. Esce ogni martedì, all’ora di pranzo. E a giudicare dai commenti, alcuni spettatori non aspettano altro. Quello che una volta faceva la tv oggi lo fa Youtube – con meno soldi, meno visualizzazioni, senza share, ma in modo ugualmente brillante. Perché ha il modo e, soprattutto, il tempo per respirare: non c’è fretta; non c’è pubblicità; se qualcuno vuole investire, qualche sponsor, si cita. Il segreto del successo di Tinti e Rapone è il loro essere così spudoratamente sinceri: non hanno costruito una maschera; non sono i due tipici presentatori brillanti che sanno tutto di tutti . Sono il ponte perfetto tra noi, che stiamo da questa parte dello schermo , e gli ospiti.