Gion Matsuri, il festival religioso di Kyoto tra spiritualità e turismo di massa

Ogni luglio, nel cuore dell’estate giapponese, Kyoto si anima con il Gion Matsuri, una delle feste religiose più antiche e sentite del Paese. Nato nel 869 come rito per placare epidemie e spiriti malevoli, si è evoluto nel tempo: nel periodo Muromachi si aggiungono i carri yamaboko, patrimonio di interi quartieri, mentre sotto il periodo Meiji il rito si trasforma in un festival . Il momento culminante del festival arriva con le grandi parate dei carri, la Yamaboko Junko, il 17 e il 24 luglio. Nei giorni precedenti, le Yoiyama nights accendono la città con lanterne e bancarelle: i carri vengono esposti nei quartieri, si indossano gli yukata, si mangiano piatti estivi e si respira un’atmosfera di festa. Tuttavia, quello che fino a pochi decenni fa era un evento esclusivamente interno alla città, oggi si confronta con le sfide del turismo globale. Da rito di pacificazione delle anime a grande festival nazionale “In questo momento storico, così segnato da una forte globalizzazione, si avverte l’esigenza crescente di mettere al centro delle tradizioni ancorate all'identità locale. Tradizioni che in alcuni casi hanno un legame antico e reale con la comunità, e in altri sono state costruite in tempi recenti. Il Gion Matsuri non è una tradizione inventata: risale all’869”, osserva Vienna. “Il termine matsuri, che identifichiamo con la parola festival, in questo caso è entrato in uso durante il periodo Meiji, quando il Giappone ha iniziato a costruire una narrazione della propria identità e della propria cultura allineandosi ai modelli occidentali, in modo che fosse spendibile nel contesto internazionale. In quel periodo, la cerimonia ha preso ad essere indicata come matsuri, termine che però insiste di meno su quella che è la sua portata religiosa. La forma originaria, conosciuta come Gion Goryōe, era un rito pensato per allontanare le epidemie, pacificare le anime dei morti e invocare la protezione dei kami, le divinità dello shintō. Una pratica attestata almeno dal 970”. Carri, kami e mutamenti sociali Sebbene il calendario del Gion sia ricco di eventi lungo tutto il mese di luglio, i momenti culminanti del festival restano le due grandi parate dei carri, le Yamaboko Junko del 17 luglio e del 24 luglio. La parola Yamaboko, si riferisce ai due tipi di carri utilizzati nelle processioni: 23 yama e 10 hoko. Gli yama sono carri più piccoli, mentre gli hoko possono raggiungere 25 metri di altezza, pesare fino a 12 tonnellate e sono trainati da ruote grandi quanto una persona. Sia gli yama che gli hoko sono decorati in modo elaborato e rappresentano temi unici. Secondo Vienna, la struttura stessa del festival riflette l’evoluzione sociale giapponese. “Il Gion può essere paragonato a molte festività religiose italiane”, spiega. “Si ringrazia la figura protettrice del luogo, oppure si chiede la protezione della divinità. E c’è uno sforzo della popolazione, anche economico, che testimonia l’autenticità di questo sentimento: anche i ceti più poveri contribuivano, seppur nel loro piccolo. In origine non c’erano i carri, c’erano soltanto i mikoshi, palanchini che trasportano oggetti sacri in cui si ritiene che il kami prenda dimora. I carri, costruiti con un grande dispendio di denaro e con la partecipazione delle capacità artigianali tradizionali, sono comparsi in seguito. Prima erano gli aristocratici a finanziare il tutto, poi anche i grandi signori feudali, infine i mercanti. Nuove forze economiche si sono fatte mecenati nel corso di epoche diverse, dando vita anche a un aggiornamento del gusto estetico, pur nel rispetto della tradizione. Questo dimostra come la festa abbia sempre assorbito i cambiamenti sociali pur mantenendo la sua natura religiosa. Il fatto che sia una cerimonia molto sentita è testimoniato anche dalle pochissime interruzioni: le guerre del periodo Ōnin, la Seconda guerra mondiale e la pandemia”. Gion e Jidai Matsuri: due anime di Kyoto Il Gion, però, non è l’unico festival a illuminare Kyoto e spesso viene paragonato a un altro grande matsuri, che si tiene ogni anno il 22 ottobre: il Jidai Matsuri. “Nato nel periodo Meiji, racconta Vienna, “celebra la fondazione della capitale Heian-kyō, l’antica Kyoto e, attraverso la sfilata, mette in scena costumi e figure storiche delle varie epoche in cui la città è stata capitale imperiale. Nell’immaginario collettivo il Gion e il Jidai Matsuri sono spesso appaiati, semplicemente come due grandi feste di Kyoto. Questo è vero, perché entrambi attraggono non solo turisti da tutto il mondo, ma anche giapponesi da ogni parte del Paese. Tuttavia, c’è una grande differenza: il Jidai Matsuri è un evento che è stato effettivamente progettato con intenti specifici. Teneva conto di esigenze di politica interna, per la costruzione della moderna identità nazionale, e di comunicazione verso il mondo, per ribadire le origini antiche della cultura giapponese”. A differenza del Gion, questo festival, istituito nel 1895, non ha radici religiose antiche. È stato costruito come celebrazione patriottica nel contesto della modernizzazione del Giappone. Spiritualità, letteratura e overtourism Secondo Vienna, la centralità del Gion è evidente anche nella cultura letteraria: “Se una narrazione è ambientata a Kyoto in estate, il Gion quasi sempre fa la sua comparsa. Lo troviamo anche in “Koto” di Kawabata Yasunari, uno dei più importanti scrittori giapponesi del XX secolo e Premio Nobel per la Letteratura. E il festival fa da sfondo all’incontro dei due protagonisti”. Oggi, però, il significato religioso del festival, rischia di essere travolto dal turismo di massa. “Nell’immaginario collettivo giapponese si sta diffondendo l’idea che Kyoto sia diventata invivibile, che i kyotesi siano diventati scontrosi e maleducati, stanchi del turismo di massa. “C’è una stanchezza diffusa, soprattutto quando i turisti non comprendono il significato dei momenti religiosi. Certo, c’è chiaramente anche la parte ludica legata al festival: i giapponesi mettono lo yukata, escono la sera, mangiano i cibi estivi come il ghiaccio tritato con lo sciroppo dolce. Ma il significato religioso resta. Quando passa il mikoshi, per esempio, non puoi comportarti come se stessi giocando davanti alle bancarelle. Il problema è che i turisti spesso questa cosa non la capiscono; intralciano il passaggio, registrano video, parlano a voce alta nei momenti sbagliati. È un momento invece molto sentito. E troppo spesso non si mostra il rispetto che ci si aspetterebbe”

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